mercoledì 20 dicembre 2017

"Stanze" - Tina Caramanico (Finalista Premio IlMioEsordio Feltrinelli 2017)






Incuriosisce il titolo, che richiama molteplici visioni, di primo acchitto fa pensare alle Stanze della metrica che compongono un canto, oppure agli ambienti di una casa , uno dei quali è di certo quello in cui, nella “Vita Nova”, il Poeta cercava solitudine e silenzio, la “camera, là ov’io potea lamentarmi sanza essere udito”.
 In questo libro le Stanze sono luoghi mentali, che la poetessa attraversa per ripercorrere le fasi della propria esistenza, eppure le sentiamo risuonare, mentre Tina Caramanico accumula “panni, passi, nuvole e pensieri”, taglia “troppe verdure”, cambia “letti puliti e direzione” figura silenziosa, ombra di se stessa, quasi “assenza” ma attenta osservatrice del suo vivere e del suo tempo, della realtà dentro cui si muove in punta di piedi.
La Caramanico non ricorre ad infingimenti, usa la penna come un bisturi, scava impietosa dentro di sé e nella realtà, individua la pecca, la estrae, l’analizza con perizia scientifica.
Osserva, prende atto della deriva dei valori di una società della quale non si sente parte:
“Sospiro e come tutti i vecchi / immagino la fine lenta / e in fondo meritata / di questo popolo d’imbecilli millenari”.
Non indulge neppure con se stessa, quando, guardandosi da fuori, riporta: “Su una panchina qualsiasi / del centro commerciale di Novegro / lascio marcire il tempo / la domenica pomeriggio / e me, cono d’ombra senza parole”.
In un mondo in cui l’uomo è ridotto a merce, i sentimenti ad emoticon, l’amore è quello “crudele dei tempi di facebook”, il valore della persona, determinato non da ciò che si è ma da come si appare, la tentazione è di adeguarsi, stare al gioco: “Vorrei stare laggiù, in vetrina / e avere un cartellino al collo, / un prezzo di cosa / che puoi vendere o comprare, / che puoi desiderare.”
In uno stile semplice da leggere (il più difficile da scrivere), colloquiale, la Caramanico porge al lettore visioni altamente poetiche e al contempo crude di una condizione esistenziale indagata con lucidità, resa universalmente riconoscibile.
Qui non si dice del dolore, è il dolore che dice con voce di donna: “Il mio destino è stare dove non sono, / mancare la felicità / sempre di un fiato.”
Amare non basta, al raggiungimento della felicità, se l’altro è “l’estraneo, / il compagno di viaggio incontrato per caso, /che sopportiamo perché ha lui il pane / e l’acqua nel deserto” e, se non è indifferente, giudica, come tutti gli altri, non comprende.
“Non conobbi nessuno / che non mi calpestasse”, scrive la poetessa, tuttavia, “Non arresa / all’insistere del male” procede nel suo tempo, una stanza della vita dopo l’altra, verso la riscoperta o ricostruzione di se stessa, del proprio esserci nel mondo.
Coesistono, in questa raccolta poetica, fragilità e forza, consapevolezza del tempo perduto e determinazione nell’andare avanti, perché “arriva il tempo in cui bisogna rinunciare […] all’incompiuto” […] e di entrare nella stanza giusta “abbagliata dalla felicità improvvisa / di saper chiudere il cerchio / e dimenticare”.
Non esiste un solo verso, in questo libro, che non tocchi le corde del sentire, che non mostri un segno cicatriziale in cui riconoscersi, uomo o donna che si sia, come davanti a uno specchio.






Maria Grazia Di Biagio



  

Non arresa all’insistere del male,
alla domanda oscena che solfeggio a Dio
solo perché non chieda lui a me
alla fine che sono e dove voglio andare,
se mi sono persa davvero nel giardino.

Non arresa
alle manovre d’approdo,
ai pontili assolati in lontananza,
al passo inconcludente della rassegnazione.
Non arresa
all’amore che ti lega,
alla speranza assurda di contare.

Sto dove stavo,
cerco l’ombra più larga,
la consolazione del vento,
una canzone che non sa nessuno,
la vaga idea di esserci già stata, qui,
forse a dormire sola in una barca, come un gatto.

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