mercoledì 18 aprile 2018

L'Aquila, 6 Aprile 2009 - Per non dimenticare - Poesie di Antonio Alleva, Daniele Cavicchia, Vito Moretti, Cristina Mosca, Anna Ventura





Possa l'invisibile fisarmonica che già risfuma l'estate dietro gli orti
possa ancora cantare
cantare ancora cantare
possa addolcire, questi momenti di alta friabilità voluti dal Custode

possa tenere a lungo compagnia

a chi s'è ritrovato per destino la beatitudine l'incendio
e l'io



Antonio Alleva





***





LEI SIEDE IMMOBILE COME IL DOLORE


Lei siede immobile come il dolore.
Ciò che vede sono macerie, ciò che resta
è quello che trema nelle sue vene.
Lei aspetta e no ha voce,
nessuno ha risposto nel silenzio imperfetto.

Una casa è dove tornare
la distanza non darà la misura
della conoscenza, quella abitava lì,
nell'angolo del focolare, sull'impronta
conosciuta della poltrona, nell'angolo segreto
dove ogni parola era una promessa.

Un mattone non è una casa
eppure un nuovo inizio,
quello che vede è una sedia vuota,
un tavolo disadorno sopravvissuto al proprio ospite.

Dei nomi sono rimasti, suoni duri
di parole senza colpa, parole
inconsapevoli della loro morte.
Quello che resta non è ciò che era
ma non permettere che un giorno trascorra invano.



Daniele Cavicchia





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L'AQUILA 6 APRILE 2009
ad Anna Ventura

I

Nella tua casa straziata
ho visto ancora i gerani
al balcone e una rinata promessa
di futuro. Il cuore respira tempeste
e schianti, ma per arduo che sia
dà nome di creatura alla tua anima
e metti piede dove tutto sembri vano,
lascia crescere di nuovo la luce
che ti è poesia. Hai una corazza
sui lumi spenti, e tanto amore:
il pegno che pure ti resta
dell'oggi che svela ferite.



Vito Moretti





***





QUI DOVE IL CUORE TREMA


Ogni silenzio è tuono
quando il tuono ha preso il silenzio.
Nuda,
io
davanti a chi ha perduto.
Ricca,
sulla terra spoglia.
Profana,
qui
dove il canto trema.



Cristina Mosca





***





NERE E TREMULE


Ci sono momenti in cui sto quieta
in questa casa di transito,
dimentico che troppi libri
sono rimasti lì,
nelle stanze abbandonate e fredde.
Qui c'è il sole quasi sempre,
dal terrazzo si tocca il mare.
Gli amici telefonano,
mandano messaggi, insomma
c'è aria di consolazione.
Ma nei pranzi ufficiali,
nelle riunioni d'impegno, dovunque
si parli, si rida, si ascolti,
improvvisamente divento sorda,
muta, assente: è il lutto
che bussa alla mia porta
e mi spiega intorno
le sue garze nere e tremule, percorse
dalla polvere degli astri ostili.



Anna Ventura





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da: LA PAROLA CHE RICOSTRUISCE (poeti italiani per L'Aquila)
a cura di Anna Maria Giancarli
Edizioni TRACCE, 2010, Pescara









venerdì 6 aprile 2018

L'Aquila, 6 Aprile 2009 - Per non dimenticare - Poesie di Michele Fianco, Giancarla Frare, Franz Krauspenhaar, Dante Maffia





SEI APRILE,


ma fino a un certo punto. Notte,
intanto. Che dietro no,
non si porta un giorno,
nemmeno uno,
da mangiare, da vestire... Ecco,
sei aprile, anzi,
lo saresti stato, aprile,
se il silenzio, certo,
lo avessi detto prima.
se non fossi stato ladro,
dentro, di tutti.
E di tutto fai un letto
di chiacchiere, lacrime,
muscoli e scale e solai,
fin oltre lo spasimo.
Sarai aprile, ma vattene.
A primavera
non è detto debba crollare,
così, un fiore.
E se pure,
non farebbe questo rumore.



Michele Fianco





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Fuori neanche albeggia
e l'ombra s'è infittita
sul davanti.
E d'ombra è piena
pure l'occasione.
Né serve
alla fine del mattino
quel raggio.
A definire chiaramente il luogo.




Giancarla Frare





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HO RAGGIUNTO


Ho raggiunto le farfalle
del mio stomaco.
Un volo, un senso
unico. Di morte.
la primavera ha cent'anni
ha le speranze senz'ovulo
ha i fiori gettati nella gola,
il manifesto nudo, le urla
dei soccorritori.
Ho pianto col riso, ho fatte
mie le scarpe di mio padre
ferme qui da vent'anni.
Le ho indossate nel sogno
andando a prenderlo
come fosse il rapito da calce
da macerie giganti.
Dopoguerra dell'oggi
senza colpe e aguzzini,
solo natura folle, carne
di terra tesa. Come le menti
scolpite nella bruma, lo squarcio
apre ferite abrase, vecchie
e sole. E noi rimorti, dentro.



Franz Krauspenhaar





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DALL'ALTRA RIVA


Non volevo morire soffocata
dai calcinacci, gli occhi
sfondati dalle pietre all'improvviso
diventate nemiche. Avanzavo ancora
infinite carezze da lui, e con il sole
c'era un patto segreto
come tra api e fiori.
Non riesco a sentire la voce di mia madre,
anche se sento le sue mani accanto.
Un vento viscido mi attraversa il corpo,
San Pietro litiga con qualcuno,
meno male.



Dante Maffia





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da: LA PAROLA CHE RICOSTRUISCE (poeti italiani per L'Aquila)
a cura di Anna Maria Giancarli
Edizioni TRACCE, Pescara 2010











giovedì 5 aprile 2018

L'aquila, 6 aprile 2009 - Per non dimenticare - Poesie di Nadia Cavalera, Plinio Perilli, Giancarlo Giuliani, Maria Luisa Spaziani





PER L'AQUILA



POTENTIA DE LU PATRE CONFORTA ME
Dov'è il cucinino la tendina del lavello
lo strofinaccio biancoblu all'appendino?
SAPIENTIA DE LU FILIU ENSENIA ME.
Dov'è la terrazza giardino
gli uccelli la gatta la canna d'india il gelsomino?
GRATIA DE LU SPIRITU SANCTU ILLUMINA ME.
Dov'è la collezione di acquasantiere
fischietti cartoline presepi gatti pupi lumiere?

(: l'aquila invola alto il coraggio ma gli sciacalli aspettano la morte per lucidare le forze)

Dove sono i quadri e le pareti? tutti i miei libri vivi?
E le foto gli album di famiglia immagini dei bei giorni griglia?
K'IO TE POÇA AMARE ET TEMERE ET POÇA FARE LO TUO PIACERE.
Dove sono i figli nipoti fratelli amici vicini?
E le strade le chiese i palazzi i luoghi laghi di cuore?
ME POÇA SPREÇARE ET TENERE ME VILE.
Dove sono le mie memorie?
E IN REU MORTALE NON POÇA PERDIRE.
La perdonanza non è più la mia danza stanza

AMEN e sia



Nadia Cavalera



* I versi in corsivo sono tratti dal libro di preghiere di Celestino V (Museo Nazionale dell'Aquila)





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RESURRECTIO DAL BUIO


ad Anna Maria Giancarli, Francesco Rivera
e Anna Ventura, amici de L'Aquila, 
fratelli di poesia

Le colline ingemmate si susseguono,
il mio viaggio di treno le attraversa
o anzi loro mi infrangono,
messaggere di verde... Portano
fiori e sterpi, muri sbrecciati e
promesse lunghissime. Ovunque
il colore risponde, se solo ci sforziamo
di non perderlo... L'aria sembra
ferita ma azzurro lieve la fascia
tutta, la converte di vento.

È Pasqua di rinascita, resurrectio dal buio:
e da ogni sguardo in alto spunta
alata la cicatrice d'un piccolo volo.



Plinio Perilli





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SANTA MARIA DI FARFA



Sono stanco di quest'acqua torbida,
del silenzio ossessivo degli uccelli,
mentre la luna vaga tra disfatti
sobborghi e dai ciechi palazzi forte
giunge il grido lamentoso del vento.



Giancarlo Giuliani


(notte di Natale, 2009)





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RIMANE INTATTA LA BANDIERA


Quei terremoti di cui parli, crollo
profondo delle visceri, sonante
sfacelo che ai meandri della terra
grida rivolta, odio, grida guerra
e appicca il fuoco all'anima del mondo
(là dove la caverna primordiale
gelida del terziario arrocca strati
di giade e di slavine), quali forme
soltanto nostre ci potrà rapire
dentro i suoi sordi ululi? Rimane
intatta la bandiera delle bianche
mattine, quando all'albatro nevoso
non giunge voce più dalle marine
trionfali di spruzzi e di richiami,
dove i suoi fasti celebrano al sole
gli smemorati pellegrini.



Maria Luisa Spaziani





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da: LA PAROLA CHE RICOSTRUISCE (poeti italiani per L'Aquila)
Edizioni TRACCE, Pescara 2010






Due strofe da un canto in lingua sarda da "Sa Terra sonadora" - Trascrizione e Traduzione di Grazia Di Lisio


 Sa Terra sonadora (Noubs 2011) 
Trascrizione e traduzione Grazia Di Lisio


Canto epico-lirico “Sa gherra europea” - la (prima) guerra mondiale

Schema metrico: Canzone con ritornello e versi ripetuti tre volte in venti strofe di doppi settenari, doppi ottonari e un settenario all’inizio di ogni strofa (con un doppio novenario).




Ottava curba                                                                           


Certu prim’ ‘e imbatti - naranta ca fut latti
su biv’in puntas artas,
sa gherra no est giògu - tόtu procurat fogu
cun ballas’e granatas, - tόt’is trinceas fattas
risultanta disfattas, - biri pòberus (poburus) fantis! 
Sa gherra no est giògu - tόtu procurat fogu
gasus (a)sfissiantis - i cun is lacrimantis,
cuss’est su prus seccanti - ca ‘ndi leat sa vista,
sa gherra no est giògu - tόtu procurat fogu
cun ballas a provvista, - si nara gherra trista
ca is mortus’in sa lista - no accudint d’assentài.




Dodicesima curba


S’Europa si distruit(di) - sa gherra no concluit(di)
de custu fog’accesu,
po dispettu s’Italia - dda sighit (di) sa batallia
a isclamentu burghesu(bru)- romanus e genovesus
sardus e calabresus - bollint (‘ollinti) gherr’amerolla,
po dispettu s’Italia - dda sighit (di) sa batallia,
is burghesus(bru) po iscolas - oi ca funti in golas
si tremint(i) che follas - sene tirai bentu,
po dispettu s’Italia - dda sighit (di) sa batallia
cun vivu isclamentu; - nemus ‘nd’est cuntentu
est troppu patimentu - su chi amègant ‘e fai.






Ottava strofa


Prima di combattere - dicono che è una fesseria
vivere sulle alte cime,
la guerra non è gioco - procura solo fuoco
con bombe e granate, - tutte le trincee 
sono state distrutte, - oh vedere (quei) poveri fanti!
La guerra non è gioco - procura solo fuoco,
gas asfissianti - e lacrimogeni,
questo dà più fastidio - perché rovina la vista,
la guerra non è gioco - procura solo fuoco
con bombe a riserva, - si dice guerra triste
perché i morti - non si fa in tempo ad elencarli.


   

Dodicesima strofa


Si distrugge l’Europa, - la guerra continua 
e non cessa il fuoco,
per dispetto l’Italia - continua la battaglia
con incitamento di studenti, - romani e genovesi
sardi e calabresi - vogliono la guerra per forza,
per dispetto l’Italia - continua la battaglia,
gli studenti di scuola, - poiché fanno gola
tremano come foglie - senza che tiri vento,
per dispetto l’Italia - continua la battaglia
con alte grida; - nessuno è contento
e fa molto soffrire - quel che stanno facendo.






mercoledì 4 aprile 2018

Pedro Salinas



[1]



Tu vivi sempre nei tuoi atti.
Con la punta delle dita
sfiori il mondo, gli strappi
aurore, trionfi, colori,
allegrie: è la tua musica.
La vita è ciò che tu suoni.
Dai tuoi occhi solamente
emana la luce che guida
i tuoi passi. Cammini
fra ciò che vedi. Soltanto.
E se un dubbio ti fa cenno
a diecimila chilometri,
abbandoni tutto, ti lanci
su prore, su ali,
sei subito lì; con i baci,
coi denti lo laceri:
non è più dubbio.
Tu mai puoi dubitare.
Perché tu hai capovolto
i misteri. E i tuoi enigmi,
ciò che mai potrai capire,
sono le cose più chiare:
la sabbia dove ti stendi,
il battito del tuo orologio
e il tenero corpo rosato
che nel tuo specchio ritrovi
ogni giorno al risveglio,
ed è il tuo. I prodigi
che sono già decifrati.
E mai ti sei sbagliata,
solo una volta, una notte
che t'invaghisti di un'ombra
- l'unica che ti è piaciuta -
Un'ombra pareva.
E volesti abbracciarla.
Ed ero io.





da: "La voce a te dovuta"
Einaudi, 1979




[1]



Tú vives siempre en tus actos.
Con la punta de lus dedos
Pulsas e mundo, le arrancas
auroras, triunfos, colores,
alegrías: es tu música. 
La vida es lo que tú tocas.
De tus ojos, sólo de ellos,
sale la luz que te guía
los pasos. Andas
por lo que ves Nada mas. 
Y si una duda te hace
señas a diez mil kilometros,
lo dejas todo, te arrojas
sobre proas, sobre alas,
estás ya allí; con Ios besos, 
con los dientes la desgarras:
ya no es duda.
Tú nunca puedes dudar.
Porque has vuelto los misterios
del revés. Y tus enigmas, 
lo que nunca entenderás,
son esas cosas tan claras:
la arena donde te tiendes,
la ınarcha de tu reló
y el tierno cuerpo rosado 
que te encuentras en tu espejo
cada día al despertar,
y es el tuyo. Los prodigios
que están descífrados ya.
Y nunca te equivocaste, 
más que una vez, una noche
que te encaprichó una sombra
—la unica que te ha gustado-.—.
Una sombra parecía.
Y la quisiste abrazar. 
Y era yo.





La voz a ti debida