mercoledì 31 gennaio 2018

Pierluigi Cappello - Sei poesie da "AZZURRO ELEMENTARE" Poesie 1992 - 2010



Pierluigi Cappello (1967 – 2017) è stato uno dei maggiori poeti italiani. Ha ottenuto tutti i riconoscimenti più importanti, come i premi Montale Europa (2004), Bagutta Opera Prima (2007) e Viareggio-Rèpaci (2010). Nel 2012 ha ricevuto il premio Vittorio De Sica sotto l’Alto Patronato della Presidenza della Repubblica e nel 2013 è stato insignito del premio assegnato ogni anno dall’Accademia dei Lincei a personalità che si siano distinte nel mondo della cultura. Ha collaborato con “Il Sole 24 Ore”. I suoi libri disponibili in BUR sono: Stato di quiete, Il dio del mare e Questa libertà, con cui ha vinto il premio Terzani 2014.




*

(Sez.: Il settimo cielo)




LA CARTA




Resta la carta mentre mi dileguo
specchio di me ma che non è me stesso
rimedio oppure tedio quando intesso
trame di me scrivendomi e m’inseguo







*

(Sez.: Arie)


I globi chiari, i lenti globi
templari cumuli dei venti
non sono me.

FRANCO FORTINI



Il nonnulla che ti coprì le spalle
quel cencio di sole e luce che corse
la volontà disalberata e franta,
le dita di chi porse alle tue dita
breve calore, il vertice d’inverno
dei letti nichelati d’ospedale
e, nera a paragone d’ogni nero,
la mezzanotte nera dentro il sonno
e il tuo centesimo rabbrividito
d’anima, il fuoco di febbre che rese
ogni minuto battaglia di lazzaro
una caduta ogni sosta di sangue,
quel nonnulla: che ti coprì le spalle

non eri tu.








IL CALABRONE




C’è un’ansietà d’attesa nella stanza:
il calabrone è un acino di rabbia.
Ha descritto da parete a parete
spigoli d’aria. Ha cabrato e picchiato.
Sfiorato sul tavolo frontespizi
e costole, cime di suppellettili
le rime di me trascritte sui fogli.
Ho spalancato tutte le finestre,
abbandonati i fogli. Fuori il sole
è fiorito sui rami, sorridente
fra me che scrivo e la parola niente.








*

(Sez.: La misura dell’erba)









Piangere non è un sussulto di scapole
e adesso che ho pianto
non ho parole migliori di queste
per dire che ho pianto
le parole più belle
le parole più pure
non sono lo zampettìo delle sillabe
sull’inverno frusciante dei fogli
stanno così come stanno
né fuoco né cenere
fra l’ultima parola detta
e la prima nuova da dire
è lì che abitiamo









*

(Sez.: Dentro Gerico)




VOCE SOLA




Io dico che
- secondo me –
le parole non vedono
le parole non vedono mai abbastanza
sono due occhi
rimasti dietro un muro
sono il buio di una stanza
e quello che vedono, povere,
a vederlo mi fa quasi pena
non conta
rispetto alle cose che contano
rispetto alle cose che ci hanno detto
che sono vere.
A noi, timbrati in seme.









UN RAGNO E ALTRE COSE




È quasi nebbiosa questa giornata
persa ricominciata interrotta più volte
come una lettera lasciata a mezzo
o un dolore che non si vede;
c’è tanto fare in questo fare
c’è tanto tenersi esitare
tremare come la luce
da uno spigolo all’altro del tavolo
perfino il corsetto di un ragno
perfino il ragno che vedi
nell’angolo più chiaro della stanza
vedilo da vicino
alieno come un modulo lunare
con la gnu di gnu la gnu di ragno
il racno, l’aracne
dai seni e dalle spolette potenti
coi suoi otto oblò sparpagliati
la coppia di falci di luna
cui nessuna chitina
nessuna velocità d’elitra
vibrazione d’antenna
mette difesa
il ragno, vedilo da vicino
c’è tutta la polvere dell’avventura
dentro questa polvere
la mia sollecitudine richiede
questo, soltanto questo, oggi
il ragno pencola e basta
telefona, fatti sentire, scrivi.



















martedì 30 gennaio 2018

Grazia Di Lisio sull'opera pittorica di Ivano Pardi


COSMOGONIE


IVANO PARDI





Nel labirinto delle percezioni



Dal primo stadio formativo della terra, dal caos primordiale, Ivano Pardi rivela il suo urlo munchiano, sdoppiando l’io esasperato, come se dalla terra sgorgassero lacrime di vita alternate a improvvisi bagliori di luce. Non si placa la sua sete di materia, di terrosità ancestrale con cui scava nel labirinto delle percezioni. Decorticando particelle insinuatesi subdolamente nella struttura morfogenetica della terra, l’artista sembra concedersi un ultimo appiglio prima della ‘catastrofe ambientale’. Intonando il canto della morfogenesi, perlustra zone laviche della crosta terrestre alla ricerca del segreto insondabile: nei più occulti interstizi si è depositato il seme del male e la deturpazione ambientale si è estesa come un’occhiuta ragnatela. Ne consegue uno spaesamento pittorico, un’ondulazione del segno con effetti di trasparenze timbriche in cromie lenticolari composte da microrganismi che sfumano in rivoli segnici affastellati dal dubbio e da un’angoscia cosmo-agonica. Fino a graffiare il piano pittorico di bruciature e velature sottese. Come una barca in balia dell’onda, Pardi affida il suo testamento alla tela per raccontare, forse, nell’incessante fluire, la fine del tempo. Senza mai rinunciare all’azzurro dell’anima.
                                                                                                                               

  Grazia Di Lisio








Ivano Pardi nasce a Castelli (TE). Consegue la maturità artistica all’Istituto Statale D’Arte per poi completare la propria formazione diplomandosi presso l’Accademia di Belle Arti di L’Aquila. Ha frequentato corsi di illustri maestri dell’arte italiana: Ceroli, Marotta, Cascella, Brunori, Guerrini ed altri. Si dedica da anni ad una produzione artistica contemporanea utilizzando diversi materiali, prevalentemente olio e tecniche miste su tela. Fotografo, è attivo anche nella lavorazione della ceramica contemporanea. Dal 2004 avvia una pittura materica che trova nello spessore “aggrumato” del colore il segno della sofferenza e delle lacerazioni del mondo. Dal 2007 è tra gli artisti membri del Museo della Permanente di Milano. Tantissime le sue partecipazioni a qualificate rassegne collettive e personali in Italia e all’estero: Roma, Milano, Desio, Bologna, Pescara, Teramo, Palermo, Francavilla al mare, Cisterna di Latina, Atri, Torino, Giulianova e tanti altri centri e poi Parigi, Madrid, Londra,New York, Belgrado. Nel 2011 Partecipa alla 54^ Biennale di Venezia, sala Nervi Padiglione Italia, a Torino a cura di V. Sgarbi e G. Grasso. 

ivanopardi@gmail.com


3336589053

lunedì 29 gennaio 2018

Franca Palmieri - Sei poesie edite -




Franca Palmieri, nata a Morolo (FR), vive ad Aprilia (LT). Laureata in Pedagogia e diplomata in Fisiopatologia, ha conseguito due Abilitazioni in Materie Letterarie e insegnato in due diversi ordini di scuola, ricoprendo incarichi organizzativi in relazione a Progetti Educativi e Aree Funzionali, quali la Valutazione, l’Antidispersione, la Disabilità, Continuità e Orientamento. Ha condotto Laboratori di Scrittura Creativa, Poesia e Teatro nelle scuole. Ha pubblicato i libri di poesie: Arabeschi di luce,(2008), Quando la vita profuma di nuovo, (2013), La coscienza e la vanità (2015) e di recente la fiaba La fiamma del cuore, (Pellicano). 
Finalista in molti Concorsi Nazionali e Internazionali, ha ricevuto diversi Premi, Diplomi e Menzioni di Merito; tra gli ultimi, due Menzioni di Alto Merito Culturale e Narrativo per gli ultimi due libri nel novembre 2017 a Napoli, Accademia degli Artisti. Suoi aforismi sono presenti in numerose Agende di Giulio Perrone Editore. 
Fra le diverse Antologie, è partecipe in SignorNò, poesie e scritti contro la guerra e in LiberAzione PoEtica sulle prigioni. 
Ha ideato e presiede il Premio Nazionale di Poesia Masio Lauretti, quest’anno alla terza Edizione, riservato agli alunni di scuole medie e superiori.


I


MONDO CIECO
che divori i tuoi figli innocenti
non sei tempo che avanza
sei tempo che manca.
Ripetute stragi di occhi stupiti
che stendono gli arti
in sculture cerate
senza conoscerne i perché.
Baluardi per noi
che non sappiamo muoverci
o non vogliamo.
Mondo rapace
devastatore di coscienze
privo di dubbi e verità,
sazio di dolore inflitto
per non urlare il proprio.
Mondo mostruoso,
quando finiremo di raccogliere
le gocce di sangue innocente
che perennemente spargi?




da La coscienza e la vanità, Seam 2015




II


VIVA PER LIBERARE I VIVI
Resterò malinconica
sempre.
Ho patito la fame, la miseria.
I miei piedi inconsapevoli
hanno segnato
terre macchiate di sangue
nella corsa per il pane e il sale
tra impressionanti richieste d’aiuto
nell’impossibilità del dare.
I miei occhi aperti all’orrore
si sono chiusi con le labbra morse
per non gridare alla violenza.

Sono morta tra i morti
che coprivano le strade
tra le urla di paura
di chi era sotto le macerie.

Viva per liberare i vivi
sepolti dalla stessa casa.
Viva per cercare viveri.
La fame più di tutto m’inseguiva
insieme all’ombra del respiro
e al lutto della mia bambina
nata a dispetto di un illogico
momento brutale
rapita da un’impietosa malattia.
Me ne volevo andare
con la mia tristezza incurabile
sempre.

Sono rimasta senza mai dimenticare.
I silenzi forzati, le grida, gli schianti,
le armi puntate, la polvere da sparo,
la rigidità dei volti, gli sguardi sbarrati,
le suppliche, i pianti, gli affanni.
Anche la guerra è rimasta.
Impressa nella mia anima,
incisa nella mia carne.





da La coscienza e la vanità, Seam 2015




III


NUVOLE


Quante nuvole
hanno attraversato il mio cielo
quante cornacchie
hanno gracchiato
passandomi accanto!

Quante volte il sole
ha tentato un varco.
Su quanti treni sono salita
cercandomi
e quante volte ho ritrovato
casa senza rimanervi?

Quante volte ho sentito
un groppo nello stomaco
e catturato l’aria senza liberarla!
Ho provato ad aspettare,
comprendere, accettare,
adattarmi  a quel che accade.

Ho provato a cambiare, andare oltre
come questi uccelli emancipati,
ma rimango immobile nel desiderio
di ciò che non accade,
così tanto imprigionata,
da non riuscire ancora a volare.




da La coscienza e la vanità, Seam 2015




IV


ME NE ANDRÒ D’ESTATE


Me ne andrò d’estate
senza clamori,
sfumata nel tramonto sul mare,
adagiata su un colle
tra il profumo di pini,
camminando sulla cima
di un monte che confina col cielo.

Seguirò l’estate
con l’entusiasmo della vita,
l’allegria delle vacanze concluse
trascorse in allegria.
Spargerò sorrisi e parole gentili
tra persone che ho sempre amato.

Mi tufferò nei silenzi delle sere,
nella luce delle stelle d’agosto
cambiando solo la prospettiva.
Soffierò lieve sulle foglie d’autunno.
Dormirò su letti di neve intatta.
Volerò come farfalla
lasciandomi inseguire nel vento.

Navigherò sulle onde
che abbracciano le terre.
Rinascerò in nuove primavere
tra foglie appena nate.
Sboccerò in ogni fiore che sorprende.
Sarò la donna che sono sempre stata,
appassionata, divertente, amichevole, gentile.
Sarò di nuovo con voi
nella vivida luce della speranza.




da La coscienza e la vanità, Seam 2015




V


L’INGANNO


L’inganno dei giusti
s’addentra nelle crepe dei muri
e sprofonda dove il sole
in gabbia non arriva
si pietrifica negli anni
dietro sconcerto e rabbia
finché allo sguardo innocente
appare il miraggio della colpa
per saziare una ragione stremata
solo allora giunge sarcastica
la rassegnazione
ma la speranza imperterrita
continua a inerpicarsi
su pareti di pianto
per tentare un varco
in piccoli quadrati di cielo
che mai hanno smesso
di far luce alla disperazione
schiava del pregiudizio




15 Novembre 2016

Pubblicata su "LiberAzione PoEtica" Raccolta antologica sulle prigioni, Pellicano 2017




VI


BAMBINA SIRIANA


Hanno svuotato il tuo sguardo
bambina siriana
e ti hanno posata a terra
semisdraiata tra deboli respiri
sovrastati da sibili  di guerra.
Cuore solo nella coltre della notte
le tue mani abbracciano il ventre
come la madre premurosa che non hai più.
Il tuo corpicino immobile
è costretto a deglutire
l’amarezza di tempi che non soccorrono
a immaginare muri che non si aprono
nemmeno a chi ha gambe per fuggire.
Puoi solo continuare a cercare
il sonno che non arriva
per dare consolazione ai tuoi occhi chiusi
sotto i lampi assordanti delle bombe.




Pubblicata in "SignorNò", Poesie e scritti contro la guerra, Poetry By The Planet, Pellicano 2016