Dopo alcune
“plaquettes” (riproposte nel vol. Una
terra e l’altra. Ristampe e inediti. 1968-1979, a cura di Massimo Pamio, Pescara, Tracce, 1995), ha
pubblicato N’andìca degnetà de fije (ediz. premio, Catanzaro, 1984),
La vulundà e li jurne (Roma, Ediz.
dell’Ateneo, 1986), Temporalità e altre
congetture (Bologna, Cappelli, 1988), Déndre
a na storie (Firenze, Editoriale Sette, 1988), Il finito presente (Roma, All’Insegna de «L’Occhiale», 1989), Le prerogative anteriori (Udine,
Campanotto, 1992), Da parola a parola
(Bari, Laterza, 1994), ’Nanze a la sorte
(Venezia, Marsilio, 1999), Di ogni cosa
detta (Pescara, Tracce, 2007), L’altrove
dei sensi (Lanciano, Carabba, 2007), Con
le mani di ieri (ivi, 2009), Luoghi
(Chieti, Tabula Fati, 2011), La case che
nen ze chiude (ivi, 2013), Dal
portico dell’angelo (Pescara, Tracce, 2014), Principia (Chieti, Tabula Fati, 2015), Le cose (Tabula Fati, 2017).
Ha
pubblicato anche tre vol. di narrativa: Nel
cerchio della tartaruga. Prose, incontri e qualche storia (Chieti, Métis,
1996), La polvere sul cucù (Chieti,
Tabula Fati, 2012) e Il colore dei
margini (ivi, 2014) e un romanzo, Le
ombre adorne (ivi, 2016).
I suoi
interventi teorici compaiono in V. Moretti, Le
ragioni di una scrittura. Dialoghi sul dialetto e sulla poesia contemporanea
(a cura di Enrico Di Carlo, Pescara, D’Incecco, 1989).
Nel campo
della saggistica, Moretti ha pubblicato numerosi studi sulla cultura dal
Settecento al Novecento, con particolare riguardo alle aree del verismo e del
decadentismo e a Gabriele d’Annunzio, di cui ha reso noto carteggi e scritti
inediti; ha promosso numerosi convegni e seminari sulla letteratura abruzzese e
nazionale, con la stampa dei relativi Atti,
e ha curato l’edizione critica o la riproposta in volume di opere di vari
autori.
Moretti,
infine, è responsabile di alcune collane editoriali, sia per la scrittura
saggistica che per quella creativa.
Per la sua
attività di poeta ha ricevuto prestigiosi riconoscimenti (fra cui l’«Acciaiuoli»,
il «Versilia-Marina di Carrara», il «Tagliacozzo», il «Bari-Magna Graecia», il
«Premio Alghero», il «Pisa-Calamaio di Neri», il «Montesilvano», il «Pescara»,
lo «Scanno», il
«Pontremoli») e lavori
monografici redatti da Massimo Pamio (Il
filo lungo della parola. Contributi per una lettura di Vito Moretti,
Chieti, Vecchio Faggio, 1991), da Vittoriano Esposito (Segni di scrittura. Aspetti e temi della poesia di Vito Moretti,
Roma, Bulzoni, 1994), da Dante Cerilli (L’enigma
e la forma. Introduzione alla poesia di Vito Moretti, Bari, Laterza, 1995),
da Toni Iermano (Nelle più care dispute.
Vito Moretti e i suoi trent’anni con la poesia, Roma, Bulzoni, 1998).
La sua
bibliografia completa compare in Studi
offerti a Vito Moretti, a cura di Gianni Oliva, Lanciano, Carabba, 2012,
pp. 269-293.
La mia terra è questi segni
La mia terra è questi segni
di costola, queste vicende stipate
alla lenta cronaca della pietra
e del mare, è questo consumo di sandali
sul greto in cui sostarono monaci e gabbiani
e stanchi pellegrini di ritorno
alla cenere del focolare.
Ma tu, Signore, fa che io
resti a lungo qui
– ascolti o non ascolti la stretta
della casa vuota, vada
o non vada oltre la meridiana
che altri hanno posto per l’ora
dei vivi e dei morti –. Ignoro cosa
mi darà il cielo di settembre
o la stagione che giunge col sonno
degli abeti e dei mandorli, ma ne intendo
uno per uno i fremiti, so,
conosco osso per osso e in ogni vena
questa mia terra, o Signore, che ha
il tuo volto prodigioso
sul telo dei monaci e il tuo calvario
nella carne degli uomini, in me
che serbo storie e cicatrici.
Eppure non chiedo un’altra giovinezza
né un cielo estraneo al broncio
e all’ansia. Io recito la tua voce
nel corpo che invecchia, mia terra,
il tuo esistere nel filo pigro
delle mie parole, il tuo trascorrere
e il tuo restare mentre già ti allontani
di nuovo e ti fai punto
di paesaggio, forma di altri resti
e nomi, nomi da ricordare.
Oggi per ore ho lavorato
Oggi per ore ho
lavorato
accanto a due
mucchi
di parole, uno
di buone e
mansuete, l’altro
di burrasca. Ho
costruito
altalene, tetti
appena sopra la
testa,
un letto con
matite
colorate, la
candela
e i recinti per
l’inverno.
Ho faticato a
sistemare
la porta e il
cancello,
i quattro piedi
del tavolo
e i legni per la
settimana ventura.
Potrei ora dire
che vale la pena
di starci,
coricato con un boccale
di vino, a
sfogliare libri dal mucchio
o a ripensare
storie, al pesciolino
rosso, ai versi
da mandare
al macero, ai
poeti accalappiatori
di targhe e
battimani. Qui
si fa vita di
provincia, si scrive
e si legge, e si
resta un po’
dimessi, un po’
cafoni,
ma liberi di
dire
ciò che si pensa
e fermi ad
ascoltare
anche i
fantasmi, il tenero
che viene
all’intorno
e che rallegra.
Massére lu fredde
Massére lu
fredde
s’accénne e da
bballe
v’è fitte na
nèbbie che sajje
e se spanne. Lu
mare
se fa cchiù
lundane
e lu vènde mo
pare ca dice
nu nome, na
voce: è quelle
de n’angele, è
quelle
de mamme. E
apprèsse
nu cande liggire
liggire,
nu fiate
pe famme sta
bbone,
na mane
pe famme addurmì.
pe famme addurmì.
Sulla distesa
già piove
Sulla distesa già piove
e il vento stipa foglie
e peccati nell’androne dei capricci
e delle roche moldave. Viene freddo
sotto l’abito ancora estivo
e tossisce la rossa
che incartoccia bignè
per la sera. Più ardito,
chiama due volte il grasso
camionista, perlustra
con la mano a visiera
il buio del cortile, fa cenno,
riprova, col vetro tirato giù,
e una pigra sagoma
punta verso i fari, patteggia
la virtù cruda
della sosta, la pausa
nel suono liquido del traffico. E la mente
in quei passi di comparsa
mi scioglie l’eco
d’una canzone, Nanì, di
Pierdavide
Carone, lo schianto d’una falena
che non sa in che poco lume
lei si bruci.
lei si bruci.
So jttàte la
chiave
So jttàte la chiave
pe cresce, so scagnate le carte
pe corre, so ĵte raménghe
pe terre e recurde, e dapù
a nu passe me so vuta fermà,
e nu passe che sèmbre aremane
e che arréte te porte,
arréte ti vusse.
Tu sei lì che
dormi
Tu sei lì che
dormi,
ignara,
mentre io
osservo
il tuo viso.
L’alba è simile
alla tua bocca
di pane
e il buono del
mattino
è uguale al
sorriso
del tuo
risveglio, al tocco
delle tue mani
che passano
sulle mie. Mi
faccio tuo cuore,
parola che tu
soltanto possa
udire, respiro
che dal mio petto
colmi il tuo e
ti conservi.
Nessun commento:
Posta un commento