lunedì 14 marzo 2016

Daniele Cavicchia

                                                                                              POETI ABRUZZESI CONTEMPORANEI



DANIELE CAVICCHIA è nato a Montesilvano (PE), dove risiede.


Fra le sue pubblicazioni di poesia ricordiamo: Liriche (1969), Per i sentieri di Sion (1973); Alle porte di Enaim (1982); Altri sogni (1988); Un dio per Saul (1989);Il Manichino (1993); I dialoghi del paziente (1998); Il custode distratto (2002); La malinconia delle balene (2004); Dal libro di Micol (2008); La signora dell’acqua (2011); La solitudine del fuoco (Passigli 2016).
Per la narrativa: Celeste (2003); La matita (2014)
Tra i vari premi ricevuti sagnaliamo: tagliacozzo, Camaiore, Rhegium Julii, Carispaq – L. Bonanni per la poesia; premio Teramo – M. Pomilio per la narrativa.
Ha collaborato con il Messaggero e a L’informatore librario e diretto due riviste.
E’ segretario organizzatore del premio di saggistica “Città delle Rose” – già premio Città di Montesilvano, e ha curato il premio Ovidio e il festival “Moto perpetuo” di Pescocostanzo.
sue poesie sono tradotte in ebraico, giapponese, inglese, russo, tedesco e ungherese.


XIV Quadro (da: La malinconia delle Balene) ed.Passigli

Il giorno ripete la malinconia delle balene e i rami
umidi scuotono la fiamma del focolare.
La tavola è imbandita: sarai con me, a lume di can-
dela. Voci sparse e cori, gemiti di streghe dai mobili
antichi. Ho scelto la tovaglia di lino e i cristalli più
preziosi, avrai pane caldo e la mia sottomissione.
Sarò pagina bianca e marmo da incidere, mentre le
fiamme disegneranno volti alle pareti.
In realtà sono in viaggio, su un treno di malati e scen-
derò alla loro fermata. Nella mia borsa pagine bian-
che da scrivere, sospiri intorno e gesti estatici.
Non sei venuta, anche il tuo silenzio è mancato; mi
resta la fiamma tenue e la tavola imbandita.
Sarai altrove, forse su questo treno, curiosa come sei
di assistere all’eclisse.
“La solitudine è il privilegio del seme che trova la
sua placenta e colora con pazienza i pendii e le
valli. Impe-rscrutabile nei disegni e nella sua solitudine
si nega al nostro cercare: giacché nominarlo è vano,
impossibile sarà trovarlo. Scovare nella cecità della
memoria è cosa vana se timide iridescenze
precludono la grande luce. Avrai un gesto ancora da
consumare e poche sillabe, come nuvola carica di
pioggia che in un giorno di settembre si consuma. Io,
da parte mia, vivo il tempo della grazia”.
Questo mi hai detto e la tua assenza quando al mio
banchetto sei mancata.
Sulla riva le conchiglie ripetono la tua voce e il mare
si fa coscienza.


Quando il dolore (da: Dal libro di Micol) ed. Passigli
I
Quando il dolore diventa silenzio
temi che anche lei sia silenzio
quando tu stesso sei dolore
temi che puoi seccare l’albero
solo sfiorandone una foglia.

E’ questo il tempo che ha stabilito
la storia che non puoi leggere
è qui che la lacrima è indecisa se asciugare
le fonti o scavare la voragine,
qui è la parola che non sa trovarti.

II
Da qualche parte riposa il nome
che la memoria ha cancellato,
in qualche luogo, forse su quella cima,
esiste un suono che modula la voce
e spande la parola nella valle.

ti sorprenderanno, gnomo infreddolito,
tra gli alberi in germoglio mentre componi formule
per penetrare lo spazio. Guarderai senza vadere
chi viene a chiedere, ascolterai la tua voce
che ancora non sa perdonare.

III
Non temere l’alba, dirà la voce,
la luce ordinerà le ombre
chiamerà l’erba al suo colore, guiderà i voli
e ogni cosa visiterà i delitti

che non si possono impedire.



IL GRIDO (da: La signora dell'acqua) ed. Passigli

Il grido arrivò da lontano
ma la parola non definì la distanza,
rimase un suono, la fine di un lamento
con saliva sulle labbra e un cerchio
di apparente fuoco, forse di erba salutare
o di acqua stagnante, forse di sale
bianco sulla sponda, inospitale spazio
rigurgito pentito, confessione inascoltata.

Forse veniva da una cima, forse dall'abisso,
forse era l'uomo il grido stesso.
Nella fretta dell'impazienza
le cose avevano dimenticato il proprio nome,
la parola annaspava, rigurgito afono
nella fretta dell'abbandono.
Nulla torna, scrisse l'uomo, nulla che si conosce,
rimane un suono, la fine di un lamento.

Il grido arrivò quando la signora
capì che era giunto il tempo
e il suo amore reclamato altrove.
Fu allora che gli uomini parlarono altre lingue
vagando nel giardino sconsacrato
fu allora che un aereo tracciò il cielo
e il telefono squillò. Tra un viaggio e una pausa
la storia aveva consumato il proprio tempo.

                                             Dicembre 2008 - Settembre 2010

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