Nell’ultimo scorcio degli anni ottanta del novecento ho avuto
l’onore e il piacere di ospitare all’Associazione Scrittori e Artisti, di cui
ero presidente, la poetessa messinese di origine svizzera Giorgia Stecher. Ci
eravamo conosciute qualche tempo prima grazie al poeta e amico comune Carmelo
Pirrera e sin dal primo incontro, fisico e dialettico, nacque la mia stima per
la poeta e la mia simpatia per la donna. Giorgia era schietta e semplice,
arguta e spontanea, graffiante e autoironica, come del resto si evince da tutta
la sua produzione poetica. Il nostro fu un bell’incontro, interrotto purtroppo
dalla sua malattia, di cui seppi troppo tardi, e dalla sua scomparsa. Durante
la sua esistenza non le mancarono consensi e apprezzamenti da parte di
scrittori e intellettuali, cito per tutti il poeta Dario Bellezza che scrisse
la prefazione a quella che, a mio avviso, è la sua migliore raccolta di poesie:
Quale Nobel Bettina. Giorgia se ne andò con quella discrezione e quella misura
che l’avevano contraddistinta, e da quel momento un silenzio irriguardoso cadde
sulla sua figura e sulla sua opera d’artista, al netto di quelle poesie che di
tanto in tanto Carmelo Pirrera pubblicava sulla sua originale rivista Issimo.
Ancora qualche anno fa, cercando il suo nome sul web non riuscii a trovare
nulla. Decisi allora che avrei fatto qualcosa per ricordarla e per diffondere
la sua poesia, ma ahimè, vicissitudini varie me ne distolsero. Ora non è più
così, Giorgio Linguaglossa ha parlato di un progetto per raccogliere tutto ciò
che si può sulla sua opera e sulla sua biobibliografia e questo finalmente
renderà giustizia ad una delle voci più significative dell’ultimo scorcio del
Novecento italiano. Da parte mia farò ciò che posso per ricordarla a chi la
conobbe e per diffondere quanto più possibile il lascito della sua arte.
Nella prefazione a Quale Nobel Bettina Dario Bellezza
definisce Giorgia Stecher “un nome sicuro della nostra poesia al femminile (…) Un’anima
romantica che si esprime in un tessuto linguistico moderno e aggiornato che sul
ceppo gozzaniano innesta la lezione di Montale.” Di poesia “femminile” si
parlava allora riferendosi ad un modo sentimentalistico di scrivere e
confinando il mondo delle autrici in una sfera di intimismo e di emozionalità;
mentre alla poesia definita “femminista” si attribuiva un valore di rabbia e di
rivendicazione. La poesia di Stecher non apparteneva a nessuna delle due
categorie. La raccolta Quale Nobel Bettina è strutturata in cinque parti. Nella
prima, Qualcosa di sbagliato, emerge il racconto di un mondo personale che,
abbandonate le fantasie giovanili, si àncora ad una realtà spoglia di ogni
smaniosa ambizione e tesa piuttosto ad una visione lucida e disincantata. Nella
seconda sezione, Donne, viene messa a fuoco la condizione di una femminilità
tenuta sotto il vetro delle convenzioni e del perbenismo dalla quale scaturisce
la rabbia e l’amara ironia. Al centro delle cinque sezioni sta il poemetto
Dalle nebbie, un prezioso interludio costituito da un incontro con qualcuno che
avrebbe potuto significare qualcosa d’importante ma che si è esaurito ancor
prima di essere vissuto completamente. Un testo che oggi, ad una lettura a
posteriori, ci permette di scorgere in filigrana i presagi del male che avrebbe
stroncato Giorgia. Nelle ultime due parti del libro, Chissà chi muove i fili e
Cadono le lesene, la malinconia di un’età che non è più giovinezza e non è
ancora vecchiaia si misura con una condizione temporale priva di illusorie
vanità. Quello che fa di Giorgia Stecher un modello di poeta nella raggiunta
maturità di stile è la cifra personale e originale della sua scrittura. Nella
libera composizione dei versi non vi è mai sbavatura, la discorsività dei testi
non abbandona mai il ritmo musicale sostenuto dalla metrica quasi perfetta e,
segno distintivo e inconfondibile, tutto è retto da una gradevole e controllata
autoironia.
Giorgia Stecher nacque e visse a Messina, ma il ramo
patrilineare della sua famiglia era originario di Zurigo. Nella città siciliana
lavorò a lungo nel settore dell’intervento sociale per le periferie urbane e in
seguito in un ente per l’edilizia pubblica. Collaborò a lungo con la Gazzetta
del Sud e con molte altre riviste di taglio letterario. Suoi lavori furono
inclusi in numerose antologie tra cui La Spiga (Firenze, 1977), Poesia
Femminista Italiana (1978), Effe (1978), Rosa senza ragioni (Il Vertice, 1986) e
sulle riviste Cronorama, Sintesi, Controvento, Prometeo. Pubblicò le raccolte
di poesia: Dialoghi e soliloqui (Firenze, 1978); Qualcosa di sbagliato (nel
volumetto Metafore e sgomento, assieme ad Arnold de Vos e Giovanni Frullini,
per le edizioni Il Vertice, 1981); Non la terra (Il Vertice, 1983); Quale Nobel
Bettina (Il Vertice, 1986); Gli eredi del sole (Il Vertice, 1987); Album (Il
Vertice, 1991). Per quello che so Album fu la sua ultima pubblicazione.
Anna Maria Bonfiglio
Cinque poesie da : Quale
Nobel Bettina
_ ma prenditi la casa
i tappeti le tende le mensole
i coperchi la scatola dei bottoni
il macinacaffè gli accessori
da bagno ed il trumeau
tu che sai come non mi
appartengono le cose
come odio i possessi
di oggetti di persone
come già sia un miracolo
possedere se stessi
ed un’ esile voce che si levi
nel frastuono assordante
della strada.
INCONTRO
ci siamo ritrovati in un’antologia
tu io ed altri due tre
della nostra città
poeti in erba falliti e sprovveduti
reclutati da un bravo banditore
ed a forza compressi
in centocinquanta pagine strapiene
come la giardiniera nel barattolo.
Io sono capitata (di te
ho perduto le tracce)
tra un padre e una
stella alpina ed occupavo
come sempre il minor spazio
ma anelavo al mio margine
per questo il titolo che mi riguardava
risultò bene impresso
nel contorno.
E chi ci salverà da questa noia
che fu di ieri e torna oggi
e tornerà domani
se non c’è niente di più definitivo
del provvisorio e dell’intermittente.
E chi ci darà l’appiglio
a cui agganciare
l’attenzione e la cura
che non sia l’ennesimo chiodo
da cui ritrarremo gli occhi pensando
è la solita cretinata che non dura.
Potesse almeno questa musa bambina
che a volte nella foga dei suoi giochi
giunge fin qui a reggermi
la mano!
ad Alfonso Gatto
Raccontava mia madre
dei libri che stipò nella mia culla
prima che io nascessi.
Per anni si pensò che la mia musa
fosse venuta da lì, uscita di soppiatto
da una pagina.
In seguito si scoprì (e fu ancora
mia madre fedelissima utente Rai-tivù)
che c’era un Gatto sopra
un ramo dell’albero, un Gatto
indomesticato nello stuolo
degli inamidati cugini e randagio
nel pomario dei sedentari cugini.
Quale Nobel Bettina ingenua sorella
non siamo a quelle altezze noi
di media statura nemmeno scalatori
di picchi o di strapiombi. E poi
non ci discostammo dal triangolo
non abbiamo trovato i giusti nodi
la pigrizia ha fiaccato gambe e mani…
Ci dispiace deluderti Bettina
non ci attendono al varco coronate
regine né per noi esploderanno
i metalli sonori delle trombe.
Purtuttavia se è per accontentarti
daremo mano qualche volta ai botti
dei nostri casalinghi mortaretti.
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