Pierluigi
Cappello (1967 – 2017) è stato uno dei maggiori poeti
italiani. Ha ottenuto tutti i riconoscimenti più importanti, come i premi
Montale Europa (2004), Bagutta Opera Prima (2007) e Viareggio-Rèpaci (2010).
Nel 2012 ha ricevuto il premio Vittorio De Sica sotto l’Alto Patronato della
Presidenza della Repubblica e nel 2013 è stato insignito del premio assegnato
ogni anno dall’Accademia dei Lincei a personalità che si siano distinte nel
mondo della cultura. Ha collaborato con “Il Sole 24 Ore”. I suoi libri
disponibili in BUR sono: Stato di quiete,
Il dio del mare e Questa libertà, con cui ha vinto il
premio Terzani 2014.
*
(Sez.: Il settimo cielo)
LA CARTA
Resta la carta mentre mi
dileguo
specchio di me ma che non
è me stesso
rimedio oppure tedio
quando intesso
trame di me scrivendomi e
m’inseguo
*
(Sez.: Arie)
I globi chiari, i lenti globi
templari cumuli dei venti
non sono me.
FRANCO
FORTINI
Il nonnulla che ti coprì
le spalle
quel cencio di sole e
luce che corse
la volontà disalberata e
franta,
le dita di chi porse alle
tue dita
breve calore, il vertice
d’inverno
dei letti nichelati
d’ospedale
e, nera a paragone d’ogni
nero,
la mezzanotte nera dentro
il sonno
e il tuo centesimo
rabbrividito
d’anima, il fuoco di
febbre che rese
ogni minuto battaglia di
lazzaro
una caduta ogni sosta di
sangue,
quel nonnulla: che ti
coprì le spalle
non eri tu.
IL CALABRONE
C’è un’ansietà d’attesa
nella stanza:
il calabrone è un acino
di rabbia.
Ha descritto da parete a
parete
spigoli d’aria. Ha
cabrato e picchiato.
Sfiorato sul tavolo
frontespizi
e costole, cime di
suppellettili
le rime di me trascritte
sui fogli.
Ho spalancato tutte le
finestre,
abbandonati i fogli.
Fuori il sole
è fiorito sui rami,
sorridente
fra me che scrivo e la
parola niente.
*
(Sez.: La misura
dell’erba)
Piangere
non è un sussulto di scapole
e
adesso che ho pianto
non
ho parole migliori di queste
per
dire che ho pianto
le
parole più belle
le
parole più pure
non
sono lo zampettìo delle sillabe
sull’inverno
frusciante dei fogli
stanno
così come stanno
né
fuoco né cenere
fra
l’ultima parola detta
e
la prima nuova da dire
è
lì che abitiamo
*
(Sez.: Dentro Gerico)
VOCE
SOLA
Io
dico che
-
secondo me –
le
parole non vedono
le
parole non vedono mai abbastanza
sono
due occhi
rimasti
dietro un muro
sono
il buio di una stanza
e
quello che vedono, povere,
a
vederlo mi fa quasi pena
non
conta
rispetto
alle cose che contano
rispetto
alle cose che ci hanno detto
che
sono vere.
A
noi, timbrati in seme.
UN
RAGNO E ALTRE COSE
È
quasi nebbiosa questa giornata
persa
ricominciata interrotta più volte
come
una lettera lasciata a mezzo
o
un dolore che non si vede;
c’è
tanto fare in questo fare
c’è
tanto tenersi esitare
tremare
come la luce
da
uno spigolo all’altro del tavolo
perfino
il corsetto di un ragno
perfino
il ragno che vedi
nell’angolo
più chiaro della stanza
vedilo
da vicino
alieno
come un modulo lunare
con
la gnu di gnu la gnu di ragno
il
racno, l’aracne
dai
seni e dalle spolette potenti
coi
suoi otto oblò sparpagliati
la
coppia di falci di luna
cui
nessuna chitina
nessuna
velocità d’elitra
vibrazione
d’antenna
mette
difesa
il
ragno, vedilo da vicino
c’è
tutta la polvere dell’avventura
dentro
questa polvere
la
mia sollecitudine richiede
questo,
soltanto questo, oggi
il
ragno pencola e basta
telefona,
fatti sentire, scrivi.
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