Quell'ateismo è umanismo
Di Felice Edizioni, 2017
L’ultimo lavoro letterario che
Giulio Rapposelli ci consegna, è un Saggio che affronta un tema diventato sempre più scottante
dal secondo dopoguerra ai giorni nostri: Il dissidio tra ragione e fede nell’uomo
moderno.
Già nel 1946, sulle macerie di
un’Europa devastata non solo materialmente ma anche e soprattutto
spiritualmente, Alberto Moravia, nel Saggio “L’uomo come fine”, asseriva che “sul
piano storico, ossia sul piano concreto, la sua funzione è esaurita. Il
cristianesimo è un movimento religioso legato ad uno sviluppo storico, ossia
definito nel tempo e nello spazio. Esso rispondeva a certe esigenze, e
assolveva certi compiti. Oggi queste esigenze sono cambiate e questi compiti
sono stati assolti.”
Nel suo saggio intitolato
“Quell’ateismo è un umanismo”, Giulio Rapposelli pone in essere non una
apologia dell’ateismo, bensì un percorso argomentativo che, partendo
dall’analisi comparativa delle differenti religioni, dall’animismo al
politeismo, fino alle grandi religioni monoteiste, ne coglie e sottolinea
differenze e analogie, i rimandi e le contaminazioni e, principalmente, la
stretta connessione tra queste e le condizioni storiche e psicologiche in cui
ciascuna religione è nata.
La fede in Dio, scrive Rapposelli, nasce da quel sentimento, quel pensiero spontaneo dell’uomo primitivo,
ma anche di quello moderno seppure con le dovute differenze, che l’uomo
costruisce per motivi di protezione e sicurezza, ma anche per quel trovarsi di
fronte alla infinita molteplicità della Natura, alla sua doppiezza benevola e
pericolosa, all’idea dell’origine di tutto l’esistente, dell’infinito Universo.
Osservazione, questa, che
trova molteplici riscontri in testi di argomento teologico e filosofico, basti
pensare al saggio sul “Senso religioso” del teologo don Luigi Giussani, il
quale, parte dal “Canto notturno di un pastore errante dell’Asia” di Leopardi:
«a che tante facelle
Che fa l'aria infinita, e quel
profondo
infinito seren? Che vuol dire
questa
solitudine immensa? Ed io che
sono?
Così meco ragiono... »
per asserire che il senso
religioso è insito nell’uomo sin dalla sua preistoria.
“È la natura stessa della
ragione, del nostro pensiero, della nostra coscienza che si pone come senso
religioso”.
Lo stesso argomento, visto in un’
ottica laica, ritorna ne “L’ospite inquietante” del filosofo e psicologo
Umberto Galimberti il quale afferma che: “Fin dai suoi primordi
l’umanità si è difesa dall’angoscia dell’imprevedibile andando affannosamente
alla ricerca di nessi di causalità che consentissero, in presenza di un evento,
di reperirne la causa. Quando la causa non era reperibile su questa terra, la
si cercava in cielo, nell’intervento di Dio. Da qui sono nate le religioni, che
rispondono al bisogno irrinunciabile di rintracciare nessi di causalità per non
brancolare nel buio e nell’indecifrabile di fronte agli eventi incomprensibili
della terra.”
Ora, qui Rapposelli si pone la
domanda cruciale: “Al sopraggiungere
dell’età della ragione, quand’essa si verifica, la domanda che la persona si
pone…è la seguente: devo credere nell’esistenza di Dio e nella religione che la
sorregge? Entrambe sono realtà che posso ancora condividere acriticamente,
oppure devo ritenere Dio e la religione, creazioni dell’uomo determinate da
condizioni psicologiche e storiche arcaiche e che oggi, nel condividerle ledono
la mia intelligenza, la mia dignità di persona adulta che dispone di
riflessione razionale e di pensiero logico, nonché delle conoscenze
scientifiche acquisite?
Quell'ateismo è umanismo
Perché “quell’ateismo” e non
“l’ateismo”? Perché così come esistono una fede di massa (superficiale) e una
fede consapevole, così esistono un ateismo di massa e un ateismo consapevole, che la persona raggiunge tramite l’uso di un
razionalismo oggettivo, il pensiero dialettico e l’esperienza. In questo
ateismo nuovo, evoluto, che la persona ha raggiunto attraverso la riflessione
logica, e la conoscenza delle maggiori acquisizioni delle scienze umane e della
scienza in generale, egli si muove fisicamente e intellettualmente in un mondo
reale, in cui la persona può evolvere nella sua natura ed espandersi nelle sue
positive potenzialità. Ed è per questo che il secondo tipo di ateismo è
umanismo, cioè promozione e sviluppo delle migliori potenzialità umane da
potersi esprimere nella vita individuale e nelle relazioni.”
Dunque è attraverso il
pensiero dialettico, che Rapposelli approda all’umanismo, ossia, una filosofia
etica che afferma la dignità e il valore di tutte le persone, basata
sull’abilità di determinare cosa è giusto e cosa sbagliato appellandosi a
qualità umane universali, particolarmente alla razionalità.
L’umanismo può essere
considerato come un processo attraverso il quale la verità e la moralità sono
scoperte per mezzo dell’investigazione umana.
Focalizzandosi sulla capacità
di autodeterminazione, l’umanismo rifiuta giustificazioni trascendentali, così
come la dipendenza dalle credenze senza ragione, il soprannaturale o i testi
che hanno presunta origine divina.
Tuttavia l'ateismo consapevole non esclude la spiritualità’ in quanto “La
spiritualità non consiste nella credenza in un Dio, né lo è la pratica religiosa
che esprime la fede. E ciò perché Dio è una invenzione culturale dell’uomo, una
sua proiezione, mentre l’Assoluto Universo e l’Energia che lo compenetra sono
sempre esistiti…”
Un'etica laica esclusivamente umana è dunque possibile, in quanto l’uomo è capace di operare una scelta etica del buon comportamento, fatta
spontaneamente e in autonomia, tramite il ragionamento logico che porta alla
comprensione del motivo che è all’origine del comportamento, ma anche della
convenienza dell’agire etico.
Quanto letto ci rimanda ai
fondamenti dell’etica Kantiana in cui la legge morale è imperativo categorico
dell’agire umano, come ricordiamo dalla “Critica della ragion pratica”: “Due cose
riempiono l’anima di ammirazione e venerazione sempre nuova e crescente, quanto
più spesso e più a lungo la riflessione si occupa di esse: il cielo stellato
sopra di me e la legge morale in me. Queste due cose io non ho bisogno di
cercarle e semplicemente supporle come se fossero avvolte nell’oscurità, o
fossero nel trascendentale, fuori dal mio orizzonte. Io le vedo davanti a me e
le connetto immediatamente con la coscienza della mia esistenza”.
In questo suo ultimo saggio,
pubblicato postumo dalla casa editrice Di Felice, Giulio Rapposelli auspica una
emancipazione della natura umana dalla cultura schizofrenica occidentale, che,
attraverso la separazione delle dimensioni maschile e femminile, l’imposizione
di falsi valori quali la competizione, il consumismo, il profitto, porta a
dinamiche personali e interpersonali distruttive.
Muovendo a favore di un’etica
che riporti al centro della vita sociale l’identificazione
con l’altro, la solidarietà, la tolleranza… Rapposelli afferma che l’uomo può darsi da solo delle regole di
comportamento vantaggiose alla convivenza in società per tutti…
A questo punto Dio non sarebbe
più utile all’uomo, in quanto L’amore tra gli uomini rende inutile Dio.
Maria Grazia Di Biagio
(Dagli appunti per la prima presentazione a Pescara: Mediamuseum, Aprile 2017)
Nel 1978 scrive il suo primo romanzo "Una certa inclinazione".
Dopo un lungo periodo, in cui si dedica esclusivamente alla sua professione di psicoterapeuta, nel 2005 pubblica il romanzo "Raggiungere Venezia" (Manni), seguito da "Romanzo civile", "Il giardino infinito" e "Indagine sul sogno" tutti con Robin Editore.
"Quell'ateismo è un umanismo" è la sua ultima opera, il suo testamento civile e spirituale.
Muore il 4 marzo 2016.
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