domenica 17 dicembre 2017

"La poesia non si spiega" - di Grazia Di Lisio







Ogni poeta si porta dentro un buio luce che scruta scompiglia i vuoti dell’essere, interroga il silenzio e si fa io nella storia, cosciente del proprio “inquieto andare” verso “una felicità sia pur breve”, tra barlumi di eventi, flash memoriali e miserie del mondo. Nessuna carezza giunge fino all’anima, cantava Adriano al suo dolce Antinoo, ma la poesia, più vera di ogni vita, è carezza di fuggevoli immagini, tremule come farfalle. 
La poesia non si spiega, si ascolta come uno spartito interiore e commuove come un’opera d’arte. 
La poesia, come l’amore, corrobora e rinnova di nuova linfa l’essere, “è l’atto magico – secondo Borges – che si esercita con umiltà, gratitudine e gioia”; ma si nutre di dubbi, di chiaroscuri di senso, in una solitudine disarmante che corrode e sgomenta, scruta le maglie del tempo, ondeggiando tra barlumi di luce e tragici eventi. E oscilla tra memorie e durezza del presente, in cerca spasmodica dell’altro, una ricerca che A. M. Farabbi definisce “il morbo dell’altro”. 
L’io poetante è come un bambino che fruga emozioni lontano da volti di ombra, in un mondo senza sorrisi. La poesia per E. Evtushenko è la finesse, la bellezza di un istante che dà voce a chi non ha voce e che riconosce il trillo sonoro dell’infanzia, come un canto di Béla Bartòk o la musica di Scriabin. Scrivere per scardinare l’assedio di un vuoto ritorno, come un alveare cosmico che getta luce sul mondo. L’impatto ‘orchestrale’ è affidato a suoni liquidi, evanescenze, a timbri assonantici, a forti opposizioni aggettivali, interrogativi pregnanti, neologismi, a un costante ondeggiare tra senso e non senso, tra suono e segno, tra significato e significante.
Talvolta le parole prendono vita come mises en scène in un teatro semovente di ‘lemmi’ che mimano gesti, espressioni, fonemi e vocali in continua metatesi / metamorfica, fino a raggiungere la Spannung esistenziale, come nei versi di Alberto Bevilacqua in “Un duetto per voce sola”. Ventaglio di temi e di parole, elenchi e suggerimenti che stuzzicano la fantasia del lettore e che rendono il linguaggio sospeso in un’altalena funambolica o nel doppio fondo di una scatola magica che asserisce e nega, oscura e illumina percorsi ipergerminativi di senso. 
In sottofondo, nel cantuccio dell’anima, il canto cantilenato rigenerato dalla pregnanza ossimorica di Franco Loi (“l’umbria dentro il ciar”), poeta che scivola attraverso membrane del tempo con una leggerezza senza tempo. Le sue immagini, come piani sequenza, sono illuminate dal filo della memoria su esili profili di ragazze, su erbari agresti e il canto dell’usignuolo, in una dimensione rarefatta dell’aria, un’aria impalpabile leggera, che vanifica l’essenza della vita e la riempie di miracolo: l’uomo sussurra con la fragranza di una ‘baguette alla soia’ il mistero, la bellezza delle cose, e  si diverte come un folletto a stendere un velo di chiarore (el ciar) sul mondo; la sua aria resta nella mano come una bolla evanescente, aria vuota che spigola al tepore di uno sguardo. Aria per sognare. Aria per sorvolare sui sentimenti universali, la vita la morte, la fragilità con bonaria ironia.



                                                                                                                                  

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