lunedì 26 febbraio 2018

Maria Carla Sanna: "La storia di Flora" - Una lettura incrociata -

a cura di Anna Colaiacovo e Grazia Di Lisio


Letture




Maria Carla Sanna
"La storia di Flora"
Vertigo 2012



                                          

Le relazioni ne “La storia di Flora”




Identità


In un luogo di vacanza in Austria, l’incontro casuale con una vecchina, Jvanka, che scoprirà essere stata da bambina amica di sua madre Flora, porterà Paola a ripercorrere la vita difficile e dolorosa di Flora, un racconto che si intreccia con le vicende della prima e della seconda guerra mondiale. Jvanka vuole sapere e Paola è costretta, suo malgrado, a “riordinare i pensieri, i ricordi, i dubbi e tutto ciò che nella mente si va mescolando così come avviene con la biancheria nel cestello della lavatrice”. Suo malgrado perché “avevo timore di scoprire qualcosa di spiacevole che avrebbe potuto turbarmi e, quindi, lasciavo che fosse lei, sporadicamente e spontaneamente, a parlare”. Una sorta di pudore e di ritegno legati sia alla scarsa confidenza con i genitori tipica di quei tempi che alla notevole differenza di età tra il padre e la madre. Figlia unica di madre ansiosa, Paola era sottoposta a regole rigide e, per lei, che aveva fame di compagnia, l’importante “era uscire di casa”. Il padre, già anziano quando l’aveva generata, da lei sentito come un nonno, ma senza la disponibilità dei nonni, da cui ha avuto “l’eredità di alti principi morali” e che ricorda quando “mi divertivo ad ascoltare incomprensibili frasi in francese che mi ripeteva quando gliene facevo richiesta”; la madre, la cui vita “non è stata una scala di cristallo”, costretta a crescere in fretta, nell’estate del ’16, quando il suo paese Vrtojba, che faceva parte dell’impero austriaco, fu distrutto dall’artiglieria e dalle bombarde italiane. Da lì iniziano le vicissitudini di Flora e della sua famiglia.


                                                                                                                  
Riflessioni


In un tempo come il nostro, di modernità liquida (Z. Bauman), in cui il narcisismo è dominante in molti libri centrati sul culto ossessivo di sé e sul presente, il romanzo di Carla Sanna appare - direbbe Nietzsche - inattuale, non solo perché la figura preminente è la madre della scrittrice, ma anche perché, attraverso la madre, ripercorre un lungo periodo della storia europea, quello della prima e della seconda guerra mondiale. È comunque un viaggio alla ricerca di sé e delle proprie radici, attraverso una narrazione che, fin dall’inizio, è fondata sulla relazione; soprattutto in questo senso, può essere considerato un libro “al femminile”, per la relazione della figlia Paola con Jvanka, che incontra casualmente in terra straniera, e per le altre relazioni che Flora intreccia nei suoi faticosi e dolorosi spostamenti. È come se il libro riuscisse a costruire una sorta di mappa identitaria, sulla scia dei luoghi in cui è vissuta la protagonista; identificando luoghi e tempi descritti attraverso le sue relazioni, dà forma alla sua vita e senso alla storia personale e collettiva. “La storia di Flora” è contraddistinta da momenti significativi di svolta e di cambiamento, momenti in cui deve operare una scelta (per esempio decidere di andare a Milano), ma il viaggio in Sardegna, che avviene attraverso il volo in idrovolante, sembra più un segno del destino che una decisione presa consapevolmente. Qual è la visione della vita di Flora? L’immagine della scacchiera ce la svela: “le pedine sono predisposte in modo non casuale”. Come si concilia questa visione, che sembra eliminare il libero arbitrio, con la religione cattolica, che pure la protagonista abbraccia? - Non ci sono risposte razionali, ci sono solo vite, soprattutto quelle femminili, che fanno della cura e del dare vita, i cardini della loro esistenza e che poi si trovano a fronteggiare continuamente la sofferenza e la morte. L’adesione al culto e ai riti (fare il presepe, dopo un anno dalla morte del bambino, sembra simbolicamente una rinascita) consola, aiuta a vivere, fa sentire parte di una collettività, di un dramma condiviso. Ci salvano i rapporti umani, anche tra “nemici”.
                                                                                      

                                 Anna Colaiacovo*
                                                                                                                                                                                                                                            
                La tela delle assurdità



La “Storia di Flora” è  un romanzo al femminile che ricostruisce la storia della protagonista (Flora), grazie ad alcune amiche della figlia Paola, incontrate casualmente in Austria. In sottofondo, la paura della guerra, il primo e il secondo conflitto mondiale, il coro muto dei civili e dei militari al fronte, tante giovani vite spezzate, e l’attesa fiduciosa del ritorno a Vrtojba, un paesino vicino Gorizia, distrutto dalle bombe. Un topos letterario di stile classico evidenziato con intensità dall’autrice, Carla Sanna in un romanzo, dal piglio storico-antropologico venato di modernità. La voce narrante è Paola, che oscilla tra tempo passato e ‘presente storico’, offrendo al lettore vicende lontane rivissute nel presente. Un buio-luce esistenziale corre lungo l’iter narrativo con cui Flora assurge a simbolo della condizione umana e del dolore del vivere, tra dolore, spaesamenti, eventi luttuosi. Si avverte un vagheggiamento del dolore, accentuato dalla traversie della vita e dagli eventi bellici, un dolore sommesso e oculato (“la vita non è una scala di cristallo”), che sublima la protagonista in un’aura di stoica rassegnazione, impenetrabile talvolta per la figlia Paola che tenta di ‘ritrovare’ la madre senza chiedersi ragione delle sue sofferenze, pur giustificandole nell’intimo. Paola snoda il filo delle vicissitudini familiari, l’abbandono del paese natio, Vrtojba, seguendo il fluire bellico come alibi al dolore. Attraverso il racconto, si tesse la tela delle assurdità, delle contraddizioni e della sofferenza umana in una sorta di saga familiare, sulla scia della Fallaci in un “Cappello di ciliegie”, con piglio espressivo sapientemente controllato dall’autrice. Ne scaturisce un memoriale lucido, scandito da ricordi ed emozioni di fatti storici intrecciati al vissuto, che, inevitabilmente, confluiscono nella tristezza del vivere. La Sardegna, ultimo approdo della protagonista dopo tante peregrinazioni e miserie, è descritta in penombra emotiva, come interlocutore silente che dà rilievo e spessore ai personaggi, ma si avverte come il respiro vitale di una terra (la terra natia dell’autrice), che pulsa nella sua bellezza e, allo stesso tempo, nella sua precarietà.  
                                                                                                                                      

(Pubblicato su La Tenda - febbraio 2014)




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Anna Colaiacovo

laureata in filosofia e specializzata in psicopedagogia, ha insegnato storia e filosofia nei licei. 
Attualmente si occupa di consulenza individuale (è consulente filosofico Phronesis) e di pratiche filosofiche di gruppo.




Maria Carla Sanna

Nata in provincia di Cagliari nel 1948, ha insegnato materie letterarie nella scuola secondaria di primo grado.
È in pensione dal 2006.
Nel 2008 ha pubblicato IL NETTAPENNE.











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