martedì 21 novembre 2017

Paolo Valesio

          Poesia Italiana Contemporanea

Paolo Valesio (Bologna, 1939) è Giuseppe Ungaretti Professor Emeritus in Italian Literature all’Università di Columbia a New York, dove ha concluso la carriera accademica dopo gli insegnamenti a Harvard, Neuw York University e Yale. È presidente del Centro Studi Sara Valesio a Bologna. Ha fondato e diretto la rivista Yale Italian Poetry (YIP) (1997 – 2005), che dal 2006 a Columbia è divenuta Italian Poetry Review (IPR).
È presidente del Premio di Poesia “Piero Alinari” a Firenze, Oltre a libri di critica, curatele, volumi collettivi e articoli in riviste e periodici, Valesio è autore di due romanzi: L’ospedale di Manhattan (1978) e Il regno doloroso (1983); di una raccolta di racconti, S’incontrano gli amanti (1993), di una novella, Tradimenti (1994), di un poema drammatico, Figlio dell’uomo a Corcovado, e di un saggio critico narrativo, Dialogo coi volanti (Napoli, Cronopio, 1997).
Ha pubblicato le raccolte di poesie: Prose in poesia (1979), La rosa verde (1987), Dialogo del falco e dell’avvoltoio (1987), Le isole del lago (1990), La campagna dell’ottantasette (1990), Analogia del mondo (1992, Premio di poesia “Città di san vito a Tagliamento”), Nightchant (1995), Sonetos profanos y sacros (originale italiano e tradizione spagnola, 1996), Avventure dell’Uomo e del Figlio (1996), Anniversari (1999), Piazza delle preghiere massacrate (1999, Premio “DeltaPOesia”, rappresentato in versione teatrale a Roma e a New York), Dardi (2000), Every Afternoon Can Make the World Stand Still / Ogni meriggio può arrestare il mondo (originale italiano e traduzione inglese, 2002, seconda edizione 2005), Volano in cento (originale italiano, traduzione inglese e traduzione spagnola, 2002), Il cuore del girasole (2006, Premio “Colli del Tronto”, 2007), Il volto quasi umano (2009) e La mezzanotte di Spoleto (2013), Il servo rosso / The red servant (2016, Poesie scelte 1979 – 2002, originale italiano, traduzione inglese).




Le poesie riportate sono tratte da "IL SERVO ROSSO" Puntoacapo 2016


La nona giornata della Novena di Santa Teresa di Lisieux



            Ieri notte
gli è sembrato di stare ritto in piedi
ad essi rivolto, e di dire:
“ O sorelle e fratelli dell’acquario –
in questa chiesa grande di Saint Mary
che (lo ha detto un parroco invidioso)
‘ha le pretese di una cattedrale’ –
lo sentite anche voi
che l’aria del mattino è come acqua
filtrata dall’ampie vetrate
ricamate di piombo e di colori?
Nàutili dello spirito
o palombari condannati,
galleggiamo sospesi
(non c’è nessuno
con cui verificare la realtà).
Siamo pochi a quest’ora - una ventina –
ed ognuno di noi ha un lungo banco
tutto per sé.
Al momento del segno della pace
non ci serriamo le mani,
ma ci salutiamo da lungi
leviamo leggera la destra
con un gesto che nasce
da un certo qual languore e sonnolenza
ma che finisce
con il diventare solenne.
Non siamo
affamigliati insieme
non scorrono tra noi
fili di amicizia
o rivoli di sangue.





Sperso



Quello - in - croce che lei gli ha regalato
             (di ottone rosso: un torbido antiquario
              l’ha venduto con mani un po’ tremanti)
e che sta appeso al vertice, al triangolo
del soffitto di legno:
lui si sente incitato, nel silenzio,
a rivolgersi ad esso
e quasi corre in camera
e si piega giù ai piedi del letto.
È l’ora blu-morente del crepuscolo,
e già la cosa non si vede più
la parete è soltanto una macchia
di buio che calmo s’addensa –
un colpo di pennello dietro l’altro –
e lui resta insicuro
che ci sia veramente,
quel patibolo piccolo lassù.








                 Dardo 65




       Nei rari momenti (ad esempio
nello specchio abbrumato di un motel)
in cui lo sguardo declina
verso il corpo in sua povertà
(defoliato dagli anni) e nudità
intorcigliato intorno all’indifeso
oscuro pene contro
il pallore del ventre
dunque in disperata purità
là dove la miseria
escludendo vergogna
è la modesta via maestra
verso la dignità –
ecco io allora scorgo il corpo di Gesù.



Bllomington, Indiana






Dardo 79



            Il corporale crollo ha sempre in sé
qualche cosa di comico.
Abituarsi a morire è imparare
a sorridere (non ridere soltanto)
di se stessi.



Laghetto di Linsley







Dardo 98



      Sento a volte una voce di pastora
sull’altra riva del lago – una voce
un po’ roca e velata (è una pastora
che non disdegna il bere e l’abbracciare):
“Fammi morire, che ti voglio bene.”






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