giovedì 23 novembre 2017

Maria Marchesi


Dalla prefazione di Dacia Maraini a 

“Evitare il contatto con la luce” Edizioni Lepisma 2005

Il disagio psichico entra in scena prepotente nella prima parte di questa raccolta di poesie di Maria Marchesi e frasi come “le punte acuminate dei coltelli”, che è anche il titolo della sezione d’esordio, o “un sordo rancore contro il mondo”, parlano di ragioni dolorose che si sono perdute nella memoria, o che si sono volute perdere, nel difficile cammino del ricordo.
“Le mie ragioni si sono perdute. / Se piango aggravo la mia condizione: / a ogni parola, a ogni gesto aumenta il sospetto / dello psichiatra / che giudica e manda”.
Come il Minòs dantesco lo psichiatra stabilisce e ordina, prescrive “ancora valium e catene” e allora altro non rimane che inchinarsi “al male che preme / dal fondo dello stomaco”.
Ma il percorso poetico di Maria Marchesi non si ferma al racconto del dolore che invade l’anima e diventa discorso attento e appassionato sul rapporto tra poesia e vita: “Rimugino rimugino poesia / per salvarmi dal flaccido sbavare / dell’aridità fattasi mani d’uomo. / Così sia”.
[…]
“Tutti dicono: la vita! La vita! / E io non sono riuscita / mai a incontrarla. / Ma c’è?
Esiste? Dove vive?”, si chiede Maria Marchesi quasi a chiusura della sua raccolta di poesie. E se ancora una volta appare grande il male di vivere e tanti sono gli interrogativi a cui i versi non riescono a dare risposta, tuttavia caparbiamente, parola dopo parola, sembra imporsi la speranza. È una energia sotterranea, quella della parola poetica, capace di trasformare un numero infinito di debolezze in una forza vitale e inarrestabile.

Dacia Maraini

M’INCHINO AL MALE


Ben disposti silenzi
                                    dice Zanzotto
indisseppellibili
                               e silenzi
la cui soluzione strama
verso acuminate cime
d’alberi di vento.

M’inchino al male che preme
al fondo dello stomaco
                                             negli occhi
saetta una vipera inquieta      
che va spegnendo stelle.






RIMUGINO POESIA


Rimugino rimugino poesia
rimugino rimugino.
La poesia che dev’essere capita da tutti,
bianchi e neri, analfabeti e giudici,
imbecilli e cinesi.
Da tutti recepita da tutti letta
con più assiduità di qualsiasi giornale.
Da tutti da tutti
da tutti capita smarrita enfasi
smarrita estasi
smarrita circostanza
danza del nulla dell’indifferenza
del mio essere una e indivisibile
danza fanciulla
danza del nulla che crea misfatti
e ghirigori nel pieno dei connubi
che scavano l’infinito per farne diademi.
Danza dell’inesistente che esiste,
mania che accelera l’ingordigia di Narciso,
ginepraio che si divincola e sbraita
dilagando sui ciclamini dell’esuberanza.
maniacale verginità, purulenza,
smarrimento, morta sciocchezza.
Rimugino rimugino poesia
per salvarmi dal flaccido sbavare
dell’aridità fattasi mano d’uomo.
Così sia.




LA VITA CI PARRA’


Annoto ciò che bisogna dimenticare,
prendo possesso della mia assenza.
Chi mai leggerà gli appunti? Comunque
non escludo che un giorno
potremo tramutarci in libri, allora
prenderemo coscienza delle troppe perdite,
vedremo con chiarezza se ci sarà un traguardo.




SOTTRAZIONE


All’improvviso mi manca il corpo
e l’anima se ne va sopra un campanile
così alto che ho paura a guardare.
Sono in una piazza sconosciuta,
attorno a me parlano una lingua
incomprensibile. Mi è sfuggito
il me che s’incantava al diverso,
non mi resta che sottrarmi all’impatto,
giocare la carta della smemorata.


Nessun commento:

Posta un commento