giovedì 1 marzo 2018

"L'ospite indocile" di Lucianna Argentino, letto da Grazia Di Lisio





“L’ospite indocile” 
Passigli 2012





Luce bruna




Lucianna Argentino denuncia un poetare ‘riflessivo’, una presa di coscienza (un “farsi segno”) della sua dinamica interiore tra eventi di natura, oggetti, accadimenti. Sulla scia cristofanica di Panikkar, l’autrice riflette sull’uomo in “un mondo in calo”, chiusa in un’isola-asola, forse l’unico vero “spazio d’abbraccio”, in cui si affida alla parola, accovacciata, “da dentro questa fonte mai sazia”, per descrivere frammenti del vivere con linguaggio incisivo, come “aratro sulla carne”. Persa tra relitti d’esistenza, (“le parole non dicono il silenzio, è il silenzio che le fa parlare” - Panikkar), l’autrice somma “le storie inconcluse”, i ricordi, gli anni vissuti sulla “capocchia di uno spillo”, il disamore velato da una “luce bruna”, affilando la parola per scuotere le coscienze “non è che l’ombra del silenzio / questa parola che irrompe’ … /. 
La sua scrittura tagliente rivela un vissuto oscillante tra riflessioni d’amaro e sprazzi epifanici (il vociare del vento, il verde dei prati), come gli anemoni improvvisi del poeta del silenzio, T. Tranströmer. Di qui la poesia ossimorica “non so quale felicità avremmo vissuto /, o quale guancia avremmo offerto all’offesa / se felicità c’è stata, se c’è stata offesa”, l’ispida aggettivazione, le paronomasie, le ripetizioni e i campi semantici (il silenzio e l’umano), con cui, talvolta, l’autrice esplode in una rabbia sommessa e bonaria ironia. Fanno eco al risentimento, vaghe rimembranze delle altalene dell’infanzia, gli affetti più cari che stemperano un po’ d’amaro. 
"Fuku wa uchi, oni wa soto" - recita un detto giapponese – (Tieni la fortuna dentro casa e scaccia la cattiva sorte), ma la poetessa non cede al vuoto che la circonda, lo colma di amore e di speranza.
                                                                                                                                                                                        
Grazia Di Lisio 


     


Gli abbracci vuoti, da braccia nude,
senza niente in mezzo.
Solo abbraccio.
Solo contrarsi di muscoli e tendini,
solo flettersi della pelle
sulla pelle di ciò che è carnale e basta,
in comunione con l’attimo del concepimento.
Vita sottratta alla morte – questo è nelle parole,
aratro sulla carne a scavare solchi complici
del potenziale elettrico del cuore.


*


Non è che l’ombra del silenzio
questa parola che irrompe
e sgorga necessaria come tutto il bene
che in questo momento è compiuto
nel basso della terra
e si misura ad altezza d’uomo.


*


Qui stanno gli anni, le storie inconcluse,
gli sguardi senza più coraggio,
le assenze dentro i sogni
o le troppe presenze ancora
ancora senza degna sepoltura. Per questo
sarebbe meglio cambiare il pensiero
ora che è cambiato il millennio
e il silenzio si è fatto fitto
e le parole avvizziscono
così che si diradi questa luce bruna
e la paura sorrida di sé
e sollevi il capo del risentimento.


*


Rientrano nel chiostro serale le nubi,
infilano la cruna dei campanili
tessono l’attesa, la disciplina dello sguardo
posato su un mondo in calo
sciupato ed esangue
per la cui salute mordo la carne di Dio
e mi lascio mordere
perché ogni attimo possa dire
l’eterno che contiene senza morirne.











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