Paesaggio con Marina a vista
Avremmo potuto vivere
anche dentro un frutto di melograno
tu ed io, e raccontarci le tenerezze
acidule delle nostre contraddizioni
ma quando c'incontrammo
non avevamo più fogli bianchi
nelle Moleskine, quel poco di noi
ch'era di fantasia fummo costretti
ad annotarlo a margine
dove c'era poco spazio
ma la traccia era già scritta
non si poteva fare finta che....
Illudersi come amanti in buona fede?
Sopra di noi gravava un segno
a prescindere da noi,una circoncisione
che ci impediva di nascondere
l'appartenenza, no, tu eri
un bigné quaresimale
ed io un controsenso diventato sogno.
Meglio così com'è rimasto
senza consumarsi, ti tengo
nel ricordo d'una fotografia
e tu m' invii ancora qualche verso
per il benestare, ma se ancora succede
che ti penso, mi sciolgo nel pensiero
dei tuoi fianchi e in quegli occhi
che in troppi hanno desiderato.
Certo, c’incontreremo
Certo,
c’incontreremo a video spenti
davanti al sagrato d’una chiesa, oppure
in una città distesa sopra l’acqua, là
si perderà l’incontro tra due mature
storie costruite sopra parole cancellate.
Ti porta ora lontano il primo freddo
che smorza il tardo fiore giallo
delle zucche e lascia dentro il solco
gli ultimi pomodori, quelli immaturi
come noi, a concimare per un’altra primavera.
Nebbia e stanche poesie, commenti deja vu
ci faranno un po’ di compagnia, l’autunno
velerà la tue caviglie con le autoreggenti
e la ricchezza dei tuoi seni sarà
solo per un occhio usa e getta.
Tutto prima di vivere, assassinato
come un bambino in fasce nella culla,
passi perduti alla ricerca d’una colpa,
ma chi se non il tempo che non dà tregua
ai sogni, e questa lucidità che ci corrode
e incancrenisce anche la volontà di viverci
da dentro e disperati, anche per un istante ?
Chiudo ormai gli occhi alla speranza
di traghettare sulla tua sponda queste nevrosi
e mescolarle con la tua risata e con la voce
che talvolta invoca ancora la carezza.
Guarderai
un giorno con disincanto
la fila dei tuoi vestiti nell’armadio
dubbiosa se calzare prima o poi
quel paio di scarpe rosse trasgressive
e non vedrai dentro lo specchio
la mia figura sopra la tua spalla,
ti cingerò la vita e sarà sera.
Parole
con l'acquerello
Scrivo
con l'acquerello sopra fogli di carta riciclata,
e
quando con le piogge di novembre ti coleranno
dalle
ciglia le parole, si formeranno pozze d'acqua nera
sulla
tavola ove siedi per la cena solitaria.
Non
dall'Amiata come Arsenio ti mando le notizie
ma dalla Bucovina imperiale ov'è settembre ancora
con
la sua bella luce che s'adagia sopra le foglie
ed
incendia l'arancio delle tende sopra le terrazze.
E'
domenica di preghiera silenziosa - minoritaria
come
una poesia - con giochi chiari sopra i tetti
chiazze
scure d'ombra sotto i tigli e pennellate
blu
di Prussia che sfumano i tronchi maculati
ma è anche gioventù, è vita quella che rastrema i muri
dove
il giorno esplode di colore e l'erre blesa
delle
turiste inglesi slitta sopra i bicchieri
e
sulle tazze, ed è stupendo pensare senza sapere
di
pensare, gustare questo tempo, immobili come
si
gode un quadro terminato ma ancora senza firma
ora
che i ricordi sono le ombre perse degli indirizzi
che
non oso digitare mentre scrivo parole disossate
e mi dissanguo in questo silenzio pieno, e tramato
con piaghe da decubito sull'anima, ma tu non le
puoi
ammorbidire
perché t'ho chiuso il labbro a filo doppio
mentre
salivi gli scalini d'un treno verso il mare.
Requiem per due lampadine fulminate
I tuoi silenzi d’ossidiana sono come il
gelo nelle grondaie
di Pietroburgo che inizia con novembre e
dura fino a marzo
ed è inverno anche sulle imposte di questa
casa sugli Appennini
ove pronuncio parole acciottolate nella
sera di mezza estate
e m’illudo che rassomiglino a preghiere, ma
sorridono
i miei Penati perché nulla dei nostri
crucci li coinvolge,
restiamo solamente tu ed io e le nostre
deboli volontà
per allargare questo vallo di Adriano ed
allagarlo poi
senza il conforto di credere più alle
parole
che non sappiamo più scrivere ed imbucare,
forse le pensiamo ma le lasciamo scorrere
giù dai vetri
sperando che il disgelo che verrà ce le
riconsegni intatte.
Qui resto con le labbra dubitanti, e
sgretolo di te
ogni dolcezza, qui scavo fosse ove
seppellisco
versi sulle nostre stagioni di aspra
lontananza
ed ora il mio pacemaker quasi non manda più
impulsi
troppi sono i bypass per i tubi incrostati
della memoria.
È ora di staccare i fili del mio monitor,
anche s’è
ancora viva sullo schermo la riga lunga
della tua risata,
non mi so decidere a premere il pulsante off,
forse tu
l’hai già fatto, ma io ti conservo in vita
come si fa
talvolta con quelle lampadine che ci
appaiono fulminate
e poi, se le scrolli un poco tra le mani, i
fili prendono
la corrente e si fa luce attorno, anche se
per poco.
Luigi Paraboschi vive a Piacenza. Ha pubblicato due libri di poesia :
nel 2007 – la raccolta "Il peso delle foglie”
nel 2009 – la raccolta "Geometrie precarie “
Collabora con la Fanzine di poesia Versante Ripido
1 commento:
Il sentimentalismo proscritto dal sentimento : questo è forse l'aspetto più vistoso di questi testi , tra partecipazione e distacco , come è giusto che sia . Il tutto declinato dalla bella epressività del linguaggio , in uno classico e moderno , certamente molto personale , subito distinguibile .
Grato
leopoldo attolico -
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