Non
è facile scrivere poesie. E’ facile semmai dirsi poeti se sia poesia vera poi
chi lo sa che già dire cos’è poesia non è questione da poco. Eppure mi
appassiona la vita e lascio che le cose mi rovistino lo sguardo e l’anima anche
in questo bar di periferia dove assieme al caffè bevo le parole di un poeta
morto in un gulag vicino Vladivostok quasi cinque lustri prima che io nascessi
che tutto questo fosse che ormai di anni da quella data incerta ne sono passati
quasi settanta ma ancora mi parla ancora mi dice sopra il vocio del bar sopra
il vocio del mondo. Ma cosa avremo noi da dire a coloro che verranno se è già
difficile intendersi parlando figuriamoci poi dirlo in poesia come tento io che
non sono laureata e non insegno ma imparo imparo molto anche se di noi mi passa
davanti quanto finisce nelle fogne ma pure tanti occhi tante storie perché
magari ecco so ascoltare d’altra parte se non sapessi ascoltare che poeta
sarei? Eppure temo che tutto in noi passi e scorra via ma devo credere che
qualcosa resti e si fermi e sia seme ma poi mi dico pure che credevo che il
dolore rendesse migliori e invece no perché il dolore a volte sta tra noi e il
mondo come uno scudo e non come un abbraccio. Né credo che la poesia deve
tirare giù dio perché dio ce l’ha già dentro semmai deve tirare su gli uomini
sollevargli il mento e alitargli nelle narici parole ancora calde di vita
fragranti di verità che poesia certo non è solo un fatto di metrica e la
libertà del verso è condizionata perché non basta andare a capo. A capo di che
poi se siamo in un tempo senza capo né coda a capo di me stessa almeno anche se
ho una biografia stanziale ma fitta fitta di anime e di corpi e dunque nomade
nell’essenza e allora scrivo. Scrivo perché poesia è la casa e la strada che ad
essa mi conduce.
(settembre ottobre 2005)
Lucianna Argentino
Sto
qui senza vocazione, ma ogni giorno rispondo,
ogni
giorno, pellegrina dell’umano, vado di volto in volto,
piegata
al sì dagli occhi e quando l’anima stanca
cede
al disamore li faccio tornare bambini,
li
riconsegno all’infanzia o a Dio,
così
mi stanno dentro per amore e non per dovere.
***
Ha
un senso vivere e lavorare
se
una bambina mi guarda a lungo
e
poi mi dice sei bella
e
alla sua voce io di lei mi accorgo
e
del suo sguardo fermo su me assente
e
sanata risalgo al mio presente.
E
le sorrido pure se so che non è bello
il
mio viso stanco, annoiato
e
a disagio per il mio scoperto esilio
per
quell’asilo in me la benedico,
per
i suoi occhi patria al mio foglio là in apnea
e
all’inchiostro calmo che spero sia tempesta.
***
Pina
un metro e cinquanta di acciacchi
mi
dà monete dal calore buono
e
un po’ rassegnato come il suo sguardo
velato
di pianto nel raccontarmi che il marito,
malato
da tempo, l’ha svegliata in piena notte
e
le ha detto Pina, Alberto se ne va…
E
se ne è andato, come ce ne andiamo tutti,
già
distanti gli uni dagli altri per certi invalicabili silenzi.
***
Franca
mi confida che il figlio ha dei problemi.
E’ timido,
chiarisce e candidamente aggiunge
ma mica c’è nato sai, c’è diventato,
a
voler dire che lei l’ha fatto sano
e
poi chissà cosa l’ha guastato.
Ma
forse è il nascere a guastarci,
quel
giungere - da dove? - quell’essere in
fieri,
che
fa di noi dei diventati.
***
Maria è buona. Maria ha la saggia semplicità delle prede.
E' umile Maria e cammina lungo una strada
già tracciata perché s'è gettata indietro,
perché abita una solitudine nubile
ma sa che non è per quella che è nata.
E si chiede per cosa allora,
per quale chiamata se erroneamente nella sua bocca
la dittatura del silenzio si fa preziosa colatura.
***
E in ultimo ci sono io,
esercitata al bene e alla
pazienza,
io con la mia vita stretta
stretta,
con i miei tanti nomi,
io che osservo assediata
da centinaia d’occhi,
che nella speranza allevo
parole;
io con i miei pensieri
frantumati,
mandati a capo come una
cattiva poesia.
Qui ogni minuto che scorre
ha un volto diverso,
una diversa cifra, grani di
un immenso rosario:
ognuno con la sua muta
preghiera
o la sua muta bestemmia,
che poi è lo stesso se
crediamo
ci sia un dio ad ascoltare.
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