Pina Allegrini
VIA ORIENTALE
Edizioni Tabula Fati,
Chieti
Dopo i Racconti
dell’isola, edito nel 2014 sempre da Tabula Fati, Pina Allegrini prosegue nel
suo viaggio narrativo all’interno dell’infanzia, età fondamentale per
accostarsi con stupore e grazia alla visione proteiforme della vita. E parlo di
“visione proteiforme” non a caso, perché nel libro tutto è visto dagli occhi di
una bimba di cinque anni, che osserva e scopre il mondo sottostante dalla
finestra posta ad oriente della casa famigliare, e più precisamente dalla
finestra di una stanzetta all'ultimo piano, divenuto ripostiglio di provviste
cianfrusaglie ricordi e magie, in cui poter appartarsi e fantasticare. La stanza
è chiamata “Sia lodato Gesù Cristo”, grazie ad una scritta antica, ancora
visibile su di una striscia di carta incollata sopra la porticina di vecchio
legno. Dalla suddetta finestra dunque, che l’autrice definisce “trappola
incantatoria aperta sul cielo”, sita in un avamposto solitario, staccato dalle
stanze inferiori eppure con esse comunicante tramite la scala interna delle
necessità e degli affetti, la bimba scruta l’orizzonte dei campi e del mare,
fiuta l’aria che cambia, registra il passaggio delle stagioni, si esalta alle
feste rituali del San Giovanni, di Ferragosto, Natale Capodanno e Pasqua,
ascolta il cicaleccio delle comari, si stupisce alla installazione di un Circo
Equestre, studia insomma tutto il visibile e l’udibile prima di scendere dabbasso
e partecipare ai tanti avvenimenti della famiglia e del quartiere.
L'approccio narrativo è
quindi simile a quello del precedente libro di Pina, appunto Racconti
dell'isola, ma la modalità è diversa, perché mentre nei Racconti l'occhio della
scrittrice quasi si soprapponeva a quello del bimbo Felicino, in un processo di
identificazione infantile anche a livello linguistico, qui è la memoria adulta
che fa rivivere un anno intero di vita della bimba protagonista, con tutta la
consapevolezza e l'abilità lessicale e strutturale che ne consegue. E a livello
di struttura quest’opera, pur se si svolge in trentuno capitoli e un epilogo,
si rivela come un ininterrotto racconto circolare, dove l'ultimo termine del
capitolo precedente viene rilanciato all'inizio di quello seguente, e dove il
primo e l'ultimo capitolo ripetono la stessa frase d'attacco, in quanto l'arco
dell'anno è compiuto e si torna alla stagione di partenza. In tale geometria
compositiva i trentuno capitoli costituiscono i vari tempi o movimenti di
un'unica partitura, perché la scelta delle parole e delle loro connessioni è
soprattutto di tipo sonoro, musicale, com'è giusto che sia in un'autrice che ha
dedicato una vita alla pratica e allo studio della Poesia. Infatti la prosa di
Pina è fortemente espressiva, combinatoria, lirica, attenta alle più sottili
sfumature dei vocaboli e dei verbi, al gioco delle onomatopee, ai rimandi
allitterativi, ma non si perde mai in astrazioni, anzi è precisa nel rendere
con estrema nitidezza anche i minimi dettagli degli ambienti, siano essi
interni casalinghi o paesaggi, nel registrare i colori i rumori e le usanze di
un'epoca quasi con lo scrupolo di un antropologo. Eppure la narrazione viene di
continuo attraversata da un brivido metafisico, avvolta in un'aura di
rarefazione che conferisce al dato reale un riflesso mitologico. Per cui credo
sia appropriato apparentare questa scrittura al “realismo magico”, inteso non
come filone storico teorizzato nel 1925 da Franz Roth ma come un elemento di
stile ricorrente che attraversa le arti in più epoche, dalla pittura alla
letteratura al cinema, non solo nel Novecento. Secondo la studiosa Marina
Vagnini:
“ L'intento principale di
questa corrente artistico-letteraria è appunto la descrizione meticolosa,
precisa della realtà, che non tralascia alcun dettaglio, ma consegue un effetto
di straniamento attraverso l'uso di elementi magici (a volte anche uno solo)
che sono descritti altrettanto realisticamente. (...) Alcuni critici non
considerano il Realismo Magico come una corrente vera e propria, quanto come
una sottocategoria del Postmodernismo; altri lo considerano come un
prolungamento in campo letterario del Surrealismo ed altri ancora come
accomunabile ai romanzi fantasy. Ma c’è da dire innanzitutto che, a differenza
dei surrealisti, i realisti magici non cercano di esprimere ciò che è oltre,
superiore al reale, ma descrivono il mondo reale stesso come dotato di
meravigliosi aspetti inerenti ad esso.”*
Ed è ciò che accade nella
scrittura di Pina, nell'educazione sentimentale e affettiva della bimba che
era, visitata da presenze reali, a volte estremamente modeste ed umili, che
diventano emblemi, icone di una dimensione altra, di una proiezione
sorprendente dell'anima. Fra queste c'è “l'omino della pioggia”, che ripara
ombrelli di casa in casa arrivando su “una bicicletta squadrellata” su cui si
esibisce “una danza di cetonie” che si snoda “da una serie di fili legati al
manubrio”, somigliando così “ad una strana tartaruga semovente, ad un mostro
mitologico”. E c'è “il poverello di Palena” che sfida il gelo e la neve e bussa
alla porta della nonna per rifocillarsi e sparire poi nel bianco ovattato di un
onirico inverno; c'è il ragazzo di nome Perduto, sonnambulo stranito che si
aggira per i campi e dona alla bimba lo “spolverio verderame” di una lucciola,
che lui chiama “la polvere delle stelle”; ci sono le figure rassicuranti dei
nonni, non solo depositari di un’antica saggezza ma divulgatori di credenze
popolari, favole di continuo variate, pronostici vaticini e rituali magici che
diventano viatici per affrontare il futuro. A tal proposito una delle pagine
più intense e commoventi del libro è quella in cui il nonno, per consolare la
nipote di un torto subìto nella sera di San Silvestro, le deterge le lacrime
col suo fazzoletto per poi fargliele seppellire nella terra, che le succhierà e
le trasformerà in linfa benefica per le sue radici. In tal modo la terra muterà
il volto al dispiacere e l’anno nuovo che si approssima, liberato dalle lacrime
dell’anno passato, arriverà fresco e augurante.
In questa pagina, come in
altri passi del racconto in cui il tema educativo è più presente, più evidente
la valenza etica del progressivo crescere e accostarsi alle difficoltà
dell’esistenza, si svela la dolcezza e insieme tutto lo struggimento
dell’autrice per un mondo di valori irrimediabilmente perduto. E questa volontà
di rinarrare la storia per cercare nel passato ciò che manca nel presente è un
altro elemento che accomuna la scrittura di Pina a quella di illustri realisti
magici di area latinoamericana come Garcia Marquez o Isabel Allende. Come
avviene in loro, nel microcosmo di Pina bambina la demarcazione fra vivi e morti
non è poi così nitida, il tempo segue un itinerario circolare, l’eredità
affettiva dei nonni continuerà e si fisserà per sempre nella scrittura, poiché
, insieme ad essa, è solo la rielaborazione fantastica che permetterà di
comprendere e assimilare il passato e porsi con spirito critico di fronte al
presente. Questa operazione di recupero e reinvenzione del ricordo non è
soltanto mentale bensì anche sensoriale, corporea. Per ammissione stessa
dell’autrice “le cose non avevano un nome ma un odore, un sapore, un calore, un
tepore”, addirittura vengono catalogate e inventariate, nelle prime pagine,
secondo le forme, gli odori, i suoni, in una sorta di voluttà sensuosa che fa
percepire a tutto tondo l’esperienza vitale. Ci sono passi in cui il cromatismo
di certi particolari è talmente fulgido che sembra di ammirare le distese
campiture di un Casorati o di un Donghi, artisti di punta del Realismo Magico
novecentesco, in altri l’avvicendarsi dei rumori e delle voci - gli schiamazzi
dei ragazzi che si rincorrono lungo la Frana, il canto barbarico delle
processioni, lo scricchiolio di piatti e bicchieri infranti, il frinire
assillante delle cicale, il chiacchiericcio pettegolo della comari – si addensa
in uno sfaccettato concerto della memoria in cui anche l’uso del dialetto è
funzionale alla dettagliata, quasi etnografica ricostruzione di una comunità e
di un territorio, senza mai cedere al bozzetto paesano, al compiacimento
folkloristico. Perché un dato è certo: attraverso l’autoritratto da cucciola e
il dipanarsi di un anno della sua educazione sentimentale, Pina parte dal
microcosmo del suo paese, quel Castelnuovo o Castannove nominato di sfuggita
due volte soltanto ma del tutto riconoscibile dagli scorci urbani e
paesaggistici, per farne un riflesso del mondo intero. Perché le storie sono
come le parole: bisogna sapere sempre da dove provengono. E i posti e i paesi,
anche i più reconditi e meno frequentati, dai quali tanti scrittori sono
partiti per scoprire le radici della loro vocazione, ripensandole in un incessante
lavorìo conoscitivo e creativo, diventano – attraverso l’orchestrazione e la
fascinazione delle parole stesse - luoghi universali del Mito e dell’Anima.
Marcello Marciani
(questo testo è stato
ascoltato domenica 24 maggio 2018 durante la presentazione del libro presso il
Teatro Comunale Di Loreto- Liberati di Castelfrentano)
*Marina Vagnini, Il
Realismo Magico tra Salman Rushdie, Isabel Allende e Gabriel Garcia Marquez.
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