martedì 26 giugno 2018

Il racconto "Via Orientale" di Pina Allegrini letto da Marcello Marciani






Pina Allegrini
VIA ORIENTALE
Edizioni Tabula Fati, Chieti





Dopo i Racconti dell’isola, edito nel 2014 sempre da Tabula Fati, Pina Allegrini prosegue nel suo viaggio narrativo all’interno dell’infanzia, età fondamentale per accostarsi con stupore e grazia alla visione proteiforme della vita. E parlo di “visione proteiforme” non a caso, perché nel libro tutto è visto dagli occhi di una bimba di cinque anni, che osserva e scopre il mondo sottostante dalla finestra posta ad oriente della casa famigliare, e più precisamente dalla finestra di una stanzetta all'ultimo piano, divenuto ripostiglio di provviste cianfrusaglie ricordi e magie, in cui poter appartarsi e fantasticare. La stanza è chiamata “Sia lodato Gesù Cristo”, grazie ad una scritta antica, ancora visibile su di una striscia di carta incollata sopra la porticina di vecchio legno. Dalla suddetta finestra dunque, che l’autrice definisce “trappola incantatoria aperta sul cielo”, sita in un avamposto solitario, staccato dalle stanze inferiori eppure con esse comunicante tramite la scala interna delle necessità e degli affetti, la bimba scruta l’orizzonte dei campi e del mare, fiuta l’aria che cambia, registra il passaggio delle stagioni, si esalta alle feste rituali del San Giovanni, di Ferragosto, Natale Capodanno e Pasqua, ascolta il cicaleccio delle comari, si stupisce alla installazione di un Circo Equestre, studia insomma tutto il visibile e l’udibile prima di scendere dabbasso e partecipare ai tanti avvenimenti della famiglia e del quartiere.
L'approccio narrativo è quindi simile a quello del precedente libro di Pina, appunto Racconti dell'isola, ma la modalità è diversa, perché mentre nei Racconti l'occhio della scrittrice quasi si soprapponeva a quello del bimbo Felicino, in un processo di identificazione infantile anche a livello linguistico, qui è la memoria adulta che fa rivivere un anno intero di vita della bimba protagonista, con tutta la consapevolezza e l'abilità lessicale e strutturale che ne consegue. E a livello di struttura quest’opera, pur se si svolge in trentuno capitoli e un epilogo, si rivela come un ininterrotto racconto circolare, dove l'ultimo termine del capitolo precedente viene rilanciato all'inizio di quello seguente, e dove il primo e l'ultimo capitolo ripetono la stessa frase d'attacco, in quanto l'arco dell'anno è compiuto e si torna alla stagione di partenza. In tale geometria compositiva i trentuno capitoli costituiscono i vari tempi o movimenti di un'unica partitura, perché la scelta delle parole e delle loro connessioni è soprattutto di tipo sonoro, musicale, com'è giusto che sia in un'autrice che ha dedicato una vita alla pratica e allo studio della Poesia. Infatti la prosa di Pina è fortemente espressiva, combinatoria, lirica, attenta alle più sottili sfumature dei vocaboli e dei verbi, al gioco delle onomatopee, ai rimandi allitterativi, ma non si perde mai in astrazioni, anzi è precisa nel rendere con estrema nitidezza anche i minimi dettagli degli ambienti, siano essi interni casalinghi o paesaggi, nel registrare i colori i rumori e le usanze di un'epoca quasi con lo scrupolo di un antropologo. Eppure la narrazione viene di continuo attraversata da un brivido metafisico, avvolta in un'aura di rarefazione che conferisce al dato reale un riflesso mitologico. Per cui credo sia appropriato apparentare questa scrittura al “realismo magico”, inteso non come filone storico teorizzato nel 1925 da Franz Roth ma come un elemento di stile ricorrente che attraversa le arti in più epoche, dalla pittura alla letteratura al cinema, non solo nel Novecento. Secondo la studiosa Marina Vagnini:
“ L'intento principale di questa corrente artistico-letteraria è appunto la descrizione meticolosa, precisa della realtà, che non tralascia alcun dettaglio, ma consegue un effetto di straniamento attraverso l'uso di elementi magici (a volte anche uno solo) che sono descritti altrettanto realisticamente. (...) Alcuni critici non considerano il Realismo Magico come una corrente vera e propria, quanto come una sottocategoria del Postmodernismo; altri lo considerano come un prolungamento in campo letterario del Surrealismo ed altri ancora come accomunabile ai romanzi fantasy. Ma c’è da dire innanzitutto che, a differenza dei surrealisti, i realisti magici non cercano di esprimere ciò che è oltre, superiore al reale, ma descrivono il mondo reale stesso come dotato di meravigliosi aspetti inerenti ad esso.”*
Ed è ciò che accade nella scrittura di Pina, nell'educazione sentimentale e affettiva della bimba che era, visitata da presenze reali, a volte estremamente modeste ed umili, che diventano emblemi, icone di una dimensione altra, di una proiezione sorprendente dell'anima. Fra queste c'è “l'omino della pioggia”, che ripara ombrelli di casa in casa arrivando su “una bicicletta squadrellata” su cui si esibisce “una danza di cetonie” che si snoda “da una serie di fili legati al manubrio”, somigliando così “ad una strana tartaruga semovente, ad un mostro mitologico”. E c'è “il poverello di Palena” che sfida il gelo e la neve e bussa alla porta della nonna per rifocillarsi e sparire poi nel bianco ovattato di un onirico inverno; c'è il ragazzo di nome Perduto, sonnambulo stranito che si aggira per i campi e dona alla bimba lo “spolverio verderame” di una lucciola, che lui chiama “la polvere delle stelle”; ci sono le figure rassicuranti dei nonni, non solo depositari di un’antica saggezza ma divulgatori di credenze popolari, favole di continuo variate, pronostici vaticini e rituali magici che diventano viatici per affrontare il futuro. A tal proposito una delle pagine più intense e commoventi del libro è quella in cui il nonno, per consolare la nipote di un torto subìto nella sera di San Silvestro, le deterge le lacrime col suo fazzoletto per poi fargliele seppellire nella terra, che le succhierà e le trasformerà in linfa benefica per le sue radici. In tal modo la terra muterà il volto al dispiacere e l’anno nuovo che si approssima, liberato dalle lacrime dell’anno passato, arriverà fresco e augurante.
In questa pagina, come in altri passi del racconto in cui il tema educativo è più presente, più evidente la valenza etica del progressivo crescere e accostarsi alle difficoltà dell’esistenza, si svela la dolcezza e insieme tutto lo struggimento dell’autrice per un mondo di valori irrimediabilmente perduto. E questa volontà di rinarrare la storia per cercare nel passato ciò che manca nel presente è un altro elemento che accomuna la scrittura di Pina a quella di illustri realisti magici di area latinoamericana come Garcia Marquez o Isabel Allende. Come avviene in loro, nel microcosmo di Pina bambina la demarcazione fra vivi e morti non è poi così nitida, il tempo segue un itinerario circolare, l’eredità affettiva dei nonni continuerà e si fisserà per sempre nella scrittura, poiché , insieme ad essa, è solo la rielaborazione fantastica che permetterà di comprendere e assimilare il passato e porsi con spirito critico di fronte al presente. Questa operazione di recupero e reinvenzione del ricordo non è soltanto mentale bensì anche sensoriale, corporea. Per ammissione stessa dell’autrice “le cose non avevano un nome ma un odore, un sapore, un calore, un tepore”, addirittura vengono catalogate e inventariate, nelle prime pagine, secondo le forme, gli odori, i suoni, in una sorta di voluttà sensuosa che fa percepire a tutto tondo l’esperienza vitale. Ci sono passi in cui il cromatismo di certi particolari è talmente fulgido che sembra di ammirare le distese campiture di un Casorati o di un Donghi, artisti di punta del Realismo Magico novecentesco, in altri l’avvicendarsi dei rumori e delle voci - gli schiamazzi dei ragazzi che si rincorrono lungo la Frana, il canto barbarico delle processioni, lo scricchiolio di piatti e bicchieri infranti, il frinire assillante delle cicale, il chiacchiericcio pettegolo della comari – si addensa in uno sfaccettato concerto della memoria in cui anche l’uso del dialetto è funzionale alla dettagliata, quasi etnografica ricostruzione di una comunità e di un territorio, senza mai cedere al bozzetto paesano, al compiacimento folkloristico. Perché un dato è certo: attraverso l’autoritratto da cucciola e il dipanarsi di un anno della sua educazione sentimentale, Pina parte dal microcosmo del suo paese, quel Castelnuovo o Castannove nominato di sfuggita due volte soltanto ma del tutto riconoscibile dagli scorci urbani e paesaggistici, per farne un riflesso del mondo intero. Perché le storie sono come le parole: bisogna sapere sempre da dove provengono. E i posti e i paesi, anche i più reconditi e meno frequentati, dai quali tanti scrittori sono partiti per scoprire le radici della loro vocazione, ripensandole in un incessante lavorìo conoscitivo e creativo, diventano – attraverso l’orchestrazione e la fascinazione delle parole stesse - luoghi universali del Mito e dell’Anima.


Marcello Marciani


(questo testo è stato ascoltato domenica 24 maggio 2018 durante la presentazione del libro presso il Teatro Comunale Di Loreto- Liberati di Castelfrentano)


*Marina Vagnini, Il Realismo Magico tra Salman Rushdie, Isabel Allende e Gabriel Garcia Marquez.







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