a Ivano Pardi
Sentire
l’abbraccio svanire
degli
eventi nel tempo che frastorna
di
silenzi sui colli
irti
dell’indifferenza.
Udire
il canto che intrepido
risponde
– rapsodo
di
terralbe boreali –
all’eco
di perché irrisolti,
a
frammenti che la terra muta
schiude
e fiammelle ardenti
cova
nel sacrario della mente.
Un’unghia
memoriale – un brivido –
chissà,
lampo di eternità!
Grazia Di Lisio
Da “Compresenze”, Tracce 2009
Dialogo in frammenti
Con “Frammenti” si
disvela la favola pittorica di un artista solitario, dal grande cuore, che
sogna cavallini a dondolo dell’età perduta e gioca con i recuperi memoriali del
borgo natio. È il canto nuovo di Ivano Pardi, un figurativo di mutevolezza
espressiva, di sacralità per Castelli, per la gloria del ‘500, le scalette blu,
le turchine e le quadrelle. Un canto che si culla di recuperi di un borgo dove
i Pompei e i Pardi hanno fatto la storia. “Un paese è non essere soli” – pur
tra puntelli delle viuzze silenti – sembra suggerire l’artista nel corposo
cromatismo dialogico. Quel borgo dai lembi slabbrati, quel ventaglio di casette
addossate, Pardi incornicia con dignità e fierezza, lasciando trapelare nella
terrosità dei colori, un filo d’emozione per la violenza di un sisma che ha
trasformato cose, pensieri. Sui Frammenti di tele e tavole affiorano grumi
materici, graffi di colore, lembi di case sghembe da una tavolozza che
germoglia sorrisi e riluce di ingubbiate e graffite, di vecchi ritratti e
decori di Orsini-Colonna. Pennellate fluttuanti di archetipi in flash back su
incisioni e graffiti di giraffe e figurine rupestri, incisioni di piccoli soli
(Ultimo fuoco) soffocati nella corteccia materica che esplode di piccole
bolle-cratere (omaggio all’arte di Burri): dilemmatico gioco di luci e ombre,
di frammenti umani dilacerati con cui Pardi ricompone la complessità dell’io. E
sorride all’arte dei padri nel canto di superfici materiche, nei guizzi
graffiati d’argento, nel verde dei sogni. Materia che si fa colore, frammento
di vita, il muthos legei delle favole
antiche. Una favola che insegna a cullare il tempo, a unire la magia del
passato al presente, a rivivere il mito di prorompente vitalismo. Un approccio
polisemico con cui l’artista recupera se stesso all’ombra del suo nido
argilloso, l’antica fornace Pompei, con fotogrammi di luce, plasmabilità
scultorea e densità ceramica; sintesi composita che razionalizza spazi ma tocca
le fibre dell’anima. Sussulta anche il grembo di madre, la regina Madre di
Castelli, con cui Pardi conclude il ciclo pittorico. La statua lignea di S.
Anna, sfolgorante nella sua nicchia di luce, infonde armonia tra le arcate, tra
le ruette abbuiate. E un bagliore materico diventa fiore di cristallo, come
nelle fiabe d’oltralpe, grazie all’agile manualità che plasma e commuove. Sacro
omaggio dalle pulsioni di figlio alla “Reina” madre di un borgo.
Grazia Di Lisio
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