Romanzo di Angela Capobianchi
Novecento Editore
E’ lecito commuoversi quando si legge un romanzo? Certamente sì, se Anna Karenina si lancia sotto al treno o Emma si avvelena con l’arsenico. Ma è normale commuoversi quando il libro che si sta leggendo è un giallo, un genere letterario considerato (ingiustamente) minore? Le emozioni dovrebbero essere ben altre e per lo più alcune fra quelle che comunemente vengono definite “primarie” , cioè la paura innanzitutto, la sorpresa, l’attesa, l’ansia di scoprire chi è l’assassino e il disgusto, forse, per le sue modalità omicidiarie.
Ma la commozione è normale in un giallo ? Certamente sì, se l’autrice del thriller è Angela Capobianchi, la regina italiana del giallo, cara amica e sempre più illustre concittadina.
Ebbene sì: leggendo le ultime pagine de LA DISCENDENZA , (Novecento Editore), mi sono accorto, ma senza stupirmene, che, oltre a tutto il resto, provavo anche commozione.
Che un giallo possa indurre in qualche modo ad un turbamento interiore non direttamente conseguente alle violenze e atrocità che vi sono descritte è cosa certo singolare e se ciò accade, almeno in me, vuol dire che in quel libro c’è dell’altro e sono proprio questi altri contenuti che turbano, non le efferatezze cui si ricorre per provocare la morte di qualcuno.
Allora ho capito, quasi subito, che la mia commozione non nasceva dallo svisceramento di Agrippina o dalla morte lenta che la Storia riservò a Seneca, ma dalla circostanza che la nostra concittadina, quando scrive, a mio avviso, adopera le sue trame contorte di passioni e di sangue soprattutto per parlare di altro: dei nostri personali percorsi di vita.
I suoi personaggi, vittime o carnefici, si muovono come maschere su un palcoscenico dove ognuno ha dovuto recitare un ruolo “imposto” che intimamente avrebbe voluto diverso.
I suoi personaggi hanno percorsi di vita che, a prescindere dagli esiti finali, sono sempre, tranne rare eccezioni in figure marginali del romanzo, costretti a percorrere un filo che si va ad annodare troppo distante dalle aspettative iniziali: un ruolo che in fondo non appartiene a nessuno di loro, anche se lo impersonano con coerenza, amara, fino in fondo.
Ma il pessimismo infernale di chi, nel mondo di oggi, vede il fallimento di tutti i suoi ideali e quindi la illogicità della propria esistenza, si contrappone per fortuna ad un segno di speranza e di rinascita che trova spazio , alla fine, ed auspica una salvezza possibile per le nuove generazioni.
Un semplice giallo può contenere tutto questo ? Per quanto “colto”, può incarnare i dubbi dei maggiori filosofi su come applicare la conoscenza per ottenere un mondo migliore? Può scendere così a fondo nel tessuto sociale, mirare ad una vera evoluzione della specie, e , parallelamente, scendere nell’animo umano di persone così distanti fra loro, per condizione, per educazione, per temperamento, per storia personale, e riuscire alla fine ad accomunare tutti verso una luce di speranza lì dove il male, non quello dei thriller, ma quello di vivere che accompagna le nostre insoddisfazioni, viene sconfitto, così come viene sempre, inesorabilmente scoperto e messo in condizione di non nuocere l’assassino?
In Angela tutto questo è possibile.
Io credo che le trame di veleno e di sangue che ci racconta siano solo il pretesto che adopera per spiegarci la vita.
Franco Pasquale
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