mercoledì 7 marzo 2018

Giorgio Galli




Giorgio Galli è nato a Pescara nel 1980 e si è laureato in Scienze della Comunicazione. Scrive sulla rivista online Perìgeion e cura dal 2011 il blog La lanterna del pescatore. Vive a Roma dove ha aperto la libreria L’Orto dei Libri, specializzata nella piccola editoria e nella promozione della multiculturalità.
Ha pubblicato La parte muta del canto (Joker, 2016) e Le morti felici (Il Canneto, 2018). Sue poesie sono uscite in alcune antologie fra cui Impronte (Pagine, 2014).








Canzone del portinaio


Quando di nascosto dagli operai e dai capi
riparato dagli strumenti e dal bordo d’un finestrone
sbucciavo un’arancia
era come se il sole mi sorgesse fra le mani
il sapore dell’arancia era la luce
il suo succo calore celeste
e l’estate tornava a squillare
nel chiarore gelido di gennaio;
e quando a sera dietro al vetro scuro
razzolavo piselli e patate
ero un contadino di ritorno dai campi
e portavo una camicia di lana a quadri
e una casacca marrone.
La notte poi tornava, ma era amica.





Nicola


Ti somiglia quell’aria che il mattino
d’inverno a volte porta al mare: l’aria
gelida quasi di ghiacciaio alpino
che spacca l’aspra zolla della pelle.

E’ irsuto il mare e dardi soleggiati
getta la sabbia. Il cielo è triste e limpido
come un’immensa lavagna che aspetta
d’esser rigata con pensieri neri.

Crescono erbacce, qua e là, sparse a mucchi:
il muricciolo, e rametti nodosi,
qualche sasso, e le schiene che due vecchi
voltano al mare rientrando, freddolosi,

sono lo scabro ornamento di questa
passeggiata che mi offri, quasi muto.
Come un mazzo di rose io la prendo:
il tuo silenzio è una voce anche mia.





Settembre


Buonanotte. Il grillo dal fondo della strada ha cantato
e l’odore del mare arriva più denso in questo silenzio.
L’estate è finita ormai: il sole
ad ogni tramonto ne porta via un po’.

La culla della luna ora sarà uno specchio azzurro
i vecchi rivolgeranno il culo alla marina
nei pomeriggi rancorosi passati a biascicare
che si stava meglio quando si stava peggio
e, quando c’era lui, i treni arrivavano in orario.

E’ passato un altr’anno,
la terra ha fatto un altro giro attorno al fuoco,
abbiamo bruciato altri versi, altri fasci di diari.

Il danaro è scappato dalle mani.
L’anima è diventata più avara.

Gli altri non sanno quanto costa l’amore.
Non lo sapranno, se non si sono consumati
come il juke-box che aspetta la moneta
per cantare.

Noi lo sappiamo.
Ci siamo sfibrati l’un l’altra in questa massacrante
gioia di vivere
ed è passata un’altra stagione.

Buonanotte. Ti sveglierai a settembre.





Le mie mani


Le mie mani passando sul tuo corpo
sono le mani della primavera
che quando la bronzea campana d’inverno
ha cessato i rintocchi gelati
riportano acqua e frutta e fiori e luce e calore

Le mie mani passando sul tuo corpo
sono le mani di un restauratore
che toglie la polvere frutto dei letarghi del tempo
e riporta in luce il tesoro florido della tua bellezza

Ho suonato arpe
con le mie dita di poeta

Ho raccolto gocce di sudore
con le mie mani che passando sul tuo corpo
lo hanno ripulito
dal dolore





Homeless


Colombo non ha mai scoperto niente:
potrebbe essersi svegliato una mattina,
per quanto ne so, ed aver detto:
ho sognato l’America.

La vita qua
è come il moto senza senso
di un turacciolo,
che, posto sul picco dell’onda,
non avanza né arretra
ma compie semplicemente un
moto circolare.

La vita qua
è un legno fracico
ha un cuore malato
ma stupenda una periferia:
ed è così stupenda quella periferia
così succosi i suoi frutti
che noi vogliamo succhiarla tutta,
anche a costo di toccare,
prima o poi, il suo midollo d’orrore.

E Colombo non ha inventato niente,
l’America da noi si allontana:
è solo un sogno dove corri corri
e il risultato non arriva mai.

Lungo le strade che non portano a niente
i passanti mi guardano male
perché puzzo
perché giro mezzo nudo fra i vestiti
ma io
io ho il coltello dalla parte del manico:
gli altri domani possono essere me.





Segreto


Ho in me
tutte le ragioni
e nessun desiderio di dirle













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